(ovvero, europeismi e pessimismo)

 

Accade in Grecia ma riguarda l’Europa. Alcuni risolvono la questione con un rasoio: da un lato al filo è legato un NO/OKI, dall’altro un SÌ/NAI. Ma l’imbroglio da dirimere è un’altro: quali europeismi stanno animando questo estenuante prologo? Per chi si vuole vedere dentro e per quelli che vagheggiano un fuori, la questione è similmente complessa dal momento che la declinazione dei differenti europeismi supera in numero le stellette che una bandiera può sostenere.

Nel 1872 un libro “contro” apriva il dibattito sulla questione moderna dell’identità europea: “Die Geburt der Tragödie aus dem Geiste der Musik” di Friedrich Wilhelm Nietsche, che attraverso una faticosa storia editoriale giungeva alla sua forma compiuta nell’edizione del 1886 con l’eloquente titolo di “Die Geburt der Tragödie. Oder: Griechenthum und Pessimismus”. Anche questo libro proponeva una sorta di dicotomia, tra “apollinei” e “dionisiaci”.

Oggi, come agli albori della nostra concezione moderna dell’Europa, gli attori sembrano gli stessi: da un lato i Greci, dall’altro i Tedeschi (con tutto il loro bagaglio di problemi identitari). Forse non è casuale, ma le analogie sono in buona parte casuali. Certo la Germania, pasticcio austro-ungarico, feudale-pulviscolare, prussiana luterana, riformata, industrializzata e arcaica, di Nietsche di lì a poco genererà mostri e in ben due occasioni – in breve tempo – si troverà a produrre una voragine di debiti (di guerra) che non verranno mai saldati del tutto. In un caso porteranno diritti alla seconda guerra mondiale, nel secondo (più o meno linearmente) all’attuale Europa delle Nazioni [sta per Ue].


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I Greci oggi (con desinenza in –ikis e –oglou e blanda familiarità con Pericle, Esiodo, Sofocle e Achille), arrivano al loro debito in modo differente: ci arrivano per bancarotta fraudolenta, per avere giocato con il bianchetto sui conti pubblici ecc. Pensate qualcosa di male e loro l’hanno fatta! Ovvero, questo è il modo di vedere le cose che un’Europa disorganica ha reso possibile: un’enorme, una colossale truffa finanziaria operata da banditi ha prodotto una tragedia di proporzioni tali da non essere vaticinabile. L’onda lunga della catastrofe greca investirà l’Europa perché è l’Europa che grazie alla sommatoria dei suoi egoismi non ha colto l’occasione per capire cosa volesse essere (sarò “pessimista” ma la formula al passato è d’obbligo).

Da un lato “gli apollinei” (i freddi e lucidi vaticinanti dell’economia del rigore, che non sanno sbagliare né chiedere scusa), dall’altro “i dionisiaci” (ebbri barcollanti che vivono di illusorie e contrastanti visioni alternative). Oggi possiamo solo assistere a una forma (sommamente teatralizzata) della tragedia: un referendum dall’esito scontato, che decreta comunque la fine (o l’auspicabile fine) di un’idea di Europa che non esiste, che non si regge in piedi e non solo per questioni di matematica finanziaria, ma piuttosto per le sue indebellabili virtù: dalle declinazioni particolari e interessate dei suoi codici, all’abitudine a fare ricorso a minacce e favoritismi, dalla propensione usuraia e mendicante, allo zelo per tenere i conti in regola (anelando a paradisi fiscali).

La tragedia avrà corso in Grecia (ricorderemo a lungo il referendum del 5 luglio, forse), ma travolgerà tutti gli europeismi; parteggiare per il minor peggio possibile o per il giusto peggio, non ci salverà dal dover tirare le somme.


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I “pasticcioni” greci avranno il merito di aver reso impossibile continuare con la farsa, ciononostante le paure istillate scientificamente da organi di potere finanziario transnazionali avranno quasi certamente la meglio su masse di individui già spaventati a morte dal suono della parola “spread”. I tedeschi (in campagna elettorale per tenere insieme una grossa coalizione) faranno sfoggio di muscoli e daranno “una lezione” a tutti gli altri “buonianulla” disseminati in giro per i domini dell’Eurozona.

L’EU [sta per Ue] – diminutivo di EURO – non è uno Stato delle Nazioni, è piuttosto uno stato di fatto fondato su una moneta, serve a contare gli spiccioli (dilapidare fortune e creare indebitamento), soprattutto non riesce proprio ad evitare di mettere le mani nelle tasche dei suoi spauriti governati. L’EU ha sostenuto le banche (e la fuga dei capitali), ha tenuto in piedi la baracca, ha regolato, tassato, prestato soldi, finanziato e bacchettato, ma in buona sostanza ha fallito non perché ha tradito i suoi ideali, ma proprio perché un’identità non l’ha mai avuta e non la sta cercando neanche adesso.


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Dal momento che con questo breve sproloquio volevo fare esercizio di pessimismo (e la Cassandra non la so fare perché il futuro delle conseguenze non lo riesco proprio a vedere), concludo con una citazione dalla prima parte de “La nascita della tragedia / Tentativo di autocritica”. Qui Nietsche esprime in una battuta quello che definisce come il pensiero dell’odierno “nichilismo pratico”:

«preferisco che nulla sia vero,
piuttosto che voi abbiate ragione,
che la vostra verità abbia ragione»*.

 

POSTILLA (speranzosa) | Ho scelto come illustrazione un’immagine arcinota (Il cavaliere, la morte e il diavolo, incisione di Albrecht Dürer del 1513), che è un memento mori, ma Nietsche nel 1872, per il frontespizio alla prima edizione del suo libro, aveva scelto in modo più appropriato un “Prometeo liberato” (vedi la prefazione in forma di lettera dedicata a Richard Wagner). Spezzare le catene (liberando una nuova “Europa dei cittadini” dove ora vedo solo schiavi) forse è proprio quello che un po’ tutti dovremmo sperare per il nostro futuro, anche se per il momento continuo a rodermi il fegato.


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* F.W. Nietsche, La nascita della tragedia, traduzione italiana di Umberto Fadini, Newton Compton, Roma 1991, p. 117.