Vaghe analogie tra la “questione gender” e la “questione ebraica”

In breve: mentre il mondo è scosso da attentati, colpi di stato, guerre di religione, scontro di civiltà, crisi della rappresentanza politica, della democrazia, del PIL ecc. oscure macchinazioni Gay stanno minando dall’interno il nostro sistema scolastico. Questo è in estrema sintesi l’allarme lanciato da centinaia di volenterosi che giornalmente sfidano la “congiura de silenzio” mediatico per renderci tutti consapevoli della prossima catastrofe a cui andiamo incontro. Lo fanno tramite i social network, email, giornalini parrocchiali, siti internet di associazioni clericali, di genitori, di psichiatri ecc. È un bombardamento, presto arriveremo al porta a porta.
«Spam», direte: «Che cosa ci vuoi fare?».

La sincera inquietudine dell’ultimo di questi appelli alla mia fiacca coscienza, mi è capitato sott’occhio, come sempre, per caso. Questo in particolare (Luisella Saro, Non potrete dire «Io non lo sapevo»!, «CulturaCattolica.it», 5 febbraio 2015) riporta l’attenzione su un caso concreto (?): il «tentativo di introdurre per legge l’indottrinamento scolastico sulle tematiche gender con il disegno di legge S. 1680 presentato il 18 novembre 2014 al Senato: “Introduzione all’educazione di genere e alla prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”». E si conclude con la massima militaresca tratta dal saggio su cui è imperniato l’intero testo: «La saggezza dell’ars militaris insegna che a fronte di un buon piano di invasione da parte del nemico, occorre predisporre un altrettanto efficace piano di difesa e contrattacco. Il punto è che bisogna prima convincere che un piano di invasione esiste» (citazione tratta da Gianfranco Amato, autore del saggio Gender (d)istruzione. Le nuove forme d’indottrinamento nelle scuole italiane).

Certo, per questo mio commento personale, avrei anche potuto inserire lo strillo giornalistico «Lobby massonico-Gay internazionali alla riscossa» o «La minaccia GAY dietro la cattedra», ma i toni sarebbero potuti apparire più ironici che allarmistici, o forse troppo scandalizzati o il contrario, fa lo stesso. A scanso di equivoci dichiaro che questa occasionale concessione all’irritazione riguarda soltanto gli aspetti stucchevolmente formali in cui ci imbattiamo di continuo e che ci pongono davanti a un bivio: ce ne infischiamo o riflettiamo?
Nel loro insieme non trovo motivazioni particolari per ritenere interessanti le argomentazioni esposte dalla signora Saro, ma non posso negare che il ricorso, tanto diligentemente orchestrato, a “retoriche del sospetto” – anche se ampiamente note (e consumate) – meriti di per sé un po’ di considerazione.

Il contesto è noto: schiere di illuminati ci informano di oscure macchinazioni di potentissime organizzazioni segrete (mica tanto), che perseguono fini ignobili vantando aderenze insospettabili con i gangli nevralgici del potere (statale, istituzionale, dall’informazione ufficiale al fitto sottobosco dei “persuasori occulti” delle multinazionali ecc.). Quindi, missione, che presto diventa crociata, dei suddetti “illuminati” è quella di portare alla luce le atrocità commesse da queste organizzazioni segrete e soprattutto svelarne i fini (questi sempre un po’ fumosi, dovendosi adeguare al cliché diabolico). Il gioco è presto servito: rivelare strategie, additare emissari, avvertire del rischio corso dalle vittime predestinate (i nostri figli, i nostri valori, le nostre case, le nostre cose comprese donne e buoi ecc.) e dichiararsi “eroi” pronti al martirio… perché nessuna colpa è più grave di quella di “avere taciuto sapendo”. Quindi questi crociati sono testimoni, e pertanto deresponsabilizzati da qualsiasi obbligo di controllo, riflessione, confronto: loro è la missione, loro la verità. Nessun dubbio sulla propria buona fede, nessun dubbio in generale, e quindi nessun sospetto di essere “utili idioti”, comparse necessarie in un gioco di equilibri che – a dire il vero – sarebbe ampiamente prevedibile nello scenario in cui si sono ritagliati il posto di “oche del Campidoglio”.

Tornando al caso specifico, è stato il titolo numinoso (“Non potrete dire «Io non lo sapevo»!”) scelto, o approvato, da Luisella Saro, a persuadermi che valesse la pena concedersi il tempo per qualche ragionamento ozioso.
L’incipit (giornalisticamente “catenaccio”) è forse la parte migliore del testo e contiene tutti gli elementi e i luoghi (comuni) della strategia della “rivelazione”, oserei dire da manuale, perfettamente confezionato:

«Fa impressione vedere presentati tutti insieme i percorsi attuati in alcune scuole primarie e secondarie di primo e di secondo grado: cosa diversa sono le tessere di un mosaico singolarmente prese e, invece, il disegno nella sua completezza. E’ esattamente questo disegno che la stampa ufficiale non vuole farci vedere. Chiedetevi perché».

Non sottovaluterei la forma (scusabile certamente, data l’urgenza del messaggio), che sciatta deve esserlo per forza, a rischio di sembrare altrimenti “professionale” ed “equidistante”, ovvero ingabbiata e sospetta. I risultati producono qui una eco di verità, una nota di freschezza, un qualcosa dello squillo di tromba (mi perdo nell’estasi a-logica della lettura ripetuta di questo passo: «cosa diversa sono le tessere di un mosaico singolarmente prese e, invece, il disegno nella sua completezza», forse manca qualcosa… forse la sua forza sta in questo “invece” di troppo, che è invito ad un “salto” nel vuoto e che di per sé impone al lettore una presa di posizione).
Così si mette in moto la macchina della “fiducia/fede”: chiedetevi perché, appunto.

Da qui in poi poco mi appassiona lo sciorinarsi di esempi, motivazioni e dati concreti, rilevati comunque nella massima buona fede, perché è troppo più invitante seguire lo sviluppo logico del sistema retorico espositivo (la stampa ufficiale che tace, le scuole complici, le infiltrazioni di agenti esterni, le tessere, il disegno intelligente ecc.). Ma dopo avere giocato un po’ astrattamente con questi strumenti arrugginiti, torna l’irritazione, quella per cui vale la pena riflettere, ricordare (anche a costo di essere banali fino alla nausea).

Un tempo i “bene informati” ci avvertivano della pericolosa Congiura ebraica (pochi giorni fa si festeggiava qualcosa in proposito | cfr. #GiornodellaMemoria), adesso va di moda sondare le oscure trame delle lobby Gay nate per minare alle fondamenta famiglia, scuola e cultura cattolica.
Ciò implica necessariamente di tornare a ragionare in termini di “problema” e “soluzione”.
Ma quale “Soluzione” al problema: una “legale” (“tornatevene a casa vostra”) o una “finale” (cfr. metodo Eichmann)? È davvero fuori luogo una analogia tra “questione ebraica” e “questione gender”? Mi guarderei bene dal porre sullo stesso piano i due argomenti, se non ci muovessimo nel campo teorico della retorica… quindi del come raccontiamo le cose e del come le cose (non i fatti) ci investono e comportano una nostra presa di coscienza. “Le parole sono importanti” è un’espressione che ritorna spesso a posteriori, quando hanno avuto un effetto.

Si potrebbe dire che in una “società libera” ognuno è altresì libero di perseguire le proprie convinzioni attraverso l’uso di tutti i mezzi che ritiene adatti allo scopo, e che il rispetto delle opinioni diverse non può essere una scusa per tacere. Ragionamento degno di rispetto, ma che spesso implica proprio la mancanza di rispetto: per la dialettica (quindi per sé) e per l’altro (quindi per le nostre azioni).

Io non voglio dire che non esistano le Lobby Gay (però, andateci cauti dati i precedenti con il Priorato di Sion e I protocolli di Sion, che era un falso…): semplicemente, non ho le prove della loro esistenza o dei loro turpi obiettivi… invadere il mondo, mettercelo in quel posto, obbligarci ad ascoltare gli Wham! ecc.

Per pura coscienza non consiglio affatto di leggere, di confrontarsi, di interagire, con chi ha scelto in buona fede di avvalersi di strumenti tanto rozzi – tesi complottistiche, insinuazioni, toni apocalittici e miti della “rivelazione” – per esporre le proprie convinzioni (mi scuserà il certamente informato e coscienzioso Gianfranco Amato, autore del saggio Gender (d)istruzione.
Le nuove forme d’indottrinamento nelle scuole italiane”), invito, invece, tutti i cattolici, i laici, gli educatori, i genitori e in generale le persone che provano un naturale sospetto nei confronti di quello che non conoscono, a guardare alla storia, di ricordare cosa succede quando si comincia a parlare di “attacco ai valori” (religione, famiglia, lavoro ecc.), da parte di quegli “altri”… e di come finisce, alle volte (#Auschwitz).

Chiudo con quello che mi sta più a cuore: la scelta del titolo, che ha ispirato la mia irritazione.

«IO NON SAPEVO». È quell’espressione di sgomento disarmante che ci siamo sentiti ripetere ininterrottamente dal processo di Norimberga all’esecuzione di Eichmann e oltre. Mantra oltraggioso usato come autodifesa da quelli che sono stati, sul serio, testimoni, e spesso complici per omertà o per codardia, di crimini contro l’umanità (in particolare riferendomi alle persone vittime di eccidi e di discriminazioni, e più in generale al concetto stesso di coscienza individuale). Mantra su cui è stata rifondata la nostra civilissima Europa.
Il ricorso a questa espressione, alta e terribile, merita biasimo, anche solo dal punto di vista formale: l’inconsapevolezza non funziona, mai. Se avete bisogno di prove ricordate quello “slogan” geniale di P.P. Pasolini: «Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi» (Cos’è questo golpe?, 1974).

Se proprio volete leggere qualcosa, provate con un libro, ad esempio quello della libera pensatrice Hannah Arendt (La banalità del male), ma potreste trovarlo fuori tema, in questo caso ben più attinente sarebbe “La banalità e basta” (ove fosse mai stato scritto).


2015_UFOstannoarrivando

UFO: stanno arrivando (libera manipolazione da «Corriere della Domenica», 15 aprile 1962)