Mi sono sempre piaciute le parole. Non tutte. Alcune ancora oggi non le riesco proprio a pronunciare: non c’entra il loro significato.

È questione di intime simpatie e abusi continuati. Il lessico è sempre famigliare, non c’è niente da fare, noi siamo composti di parole acquisite nel tempo della nostra formazione, non bastano tutti i dizionari del mondo per rimettere le cose a posto. Le abitudini non si sradicano. Le parole sono le nostre radici. A me piacciono soprattutto le parole con cui si può giocare. Che hanno qualcosa di concreto, che vengono dal passato, ma che allo stesso tempo sono diventate altro: approdi inattesi, conquiste, fatti privati, come la vaga sensazione di qualcos’altro… che non sta nei dizionari.

 


Scatolo dell'ultimo trasloco (rospe 2007)


Refuso nel dizionario: scatolo di C. Parole che mantengono la vaga sensazione di qualcos’altro. Parole così si trovano a bizzeffe nel povero lessico dei nonni contadini, ma se provate a fare una ricognizione tra coetanei vi accorgete che parole tanto “ampie” cominciano a scarseggiare. Se parlate con uno che abbia la metà dei vostri anni… le cose prendono una piega surreale. Ricordate come parlavano gli Schtroumpfs? Una parola che mi è sempre piaciuta è “cartone”. Meglio se accostata ad un’altra del tutto fuorilegge “scaloto”. In italiano non c’è posto per lo scatolo, si dice che quel coso debba essere per forza soltanto femminile, ma non è così per noi, da queste parti c’è posto sia per la scatola che per lo scatolo. E non c’è modo migliore per dare forma/corpo al cartone che coniugarlo con uno scatolo.

Cartone: la raccolta del C. La prima volta è successo per caso e necessità. Nella mia città, e forse in tutte le altre, c’è qualcuno che di notte si dà un gran da fare per anticipare il passaggio dei mezzi pubblici per il ritiro dei rifiuti. Quegli ammassi di robaccia impacchettata alla bell’e meglio che prendono forma durante il giorno agli angoli delle strade. Ci sono barboni, robivecchi, rigattieri di infima qualità e tipi assurdi con motocarrozzette che fanno incetta di cartone. Dalle mie parti potete vedere questi veicoli stipati fino all’inverosimile a tutte le ore del giorno. Rivendono la loro preda a quintali per pochi spicci, e sono l’ultimo ingranaggio – ma anche il più virtuoso – del nostro sistema di riciclo. Mi hanno sempre messo allegria e curiosità, e un giorno eravamo noi a litigare con i gatti randagi e gli altri tipi assurdi che ci guardavano in cagnesco. Rovistavamo tra i rifiuti convinti che quella fosse la lezione magistrale dei surrealisti.

 


Scatolo dell'ultimo trasloco (rospe 2007)


Scatole: possibili declinazioni. Parole-immagine, parole-cosa. Mi piace circondarmi di cose utili, anche se poi le uso impropriamente. Tra queste occupano un posto speciale le scatole: quando stanno sole e quando ne vengono impilate a migliaia. Penso a quelle di cartone, certo, ma anche a quelle di latta: le scatolette di zuppa pronta sottratte agli scaffali seriali di grandi magazzini. Noi di :duepunti, senza accorgercene, abbiamo formalizzato qualcosa come un’estetica delle scatole, e quelle che ovviamente preferiamo sono quelle di cartone, perché sono declinabili all’infinito, si possono trasformare con più facilità. Di una lucente scatoletta di conserve cosa puoi fartene quando è vuota? Un posacenere. Ma di scatole di cartone abbiamo riempito un intero catalogo. Scatole che contengono libri appena arrivati dalla tipografia; scatole che diventano qualcos’altro; dentro cui fanno la siesta le gatte di GS; scatole che riempiamo di oggetti durante i traslochi; scatole dentro cui dimentichiamo parte di noi stessi; scatole che finiscono dentro i nostri scritti e che magari ritroviamo nei nostri libri, sccatole alte due metri e quaranta che raccontano storie e che sono un invito a giocare (su questo punto del catalogo rimando al museo di :duepunti / minimarket).

Scatole come metafore. A pensarci bene le scatole ricordano parecchio i libri. Quando sono chiuse non sai mai cosa aspettarti. Molto spesso le scatole di cartone sono vuote, o conservano solo quegli irritanti trucioli di polistirolo che si disperdono ovunque e non servono a niente. Quando si scava tra i rifiuti le scatole sono la preda più ambita. Non sai cosa possa esserci dentro, ma se sei fortunato… Non era sempre facile girare per la città carichi di autentico pattume, ma presa l’abitudine è diventato piacevole. Poco igienico, ma piacevole. Adesso vado a caccia di libri con la stessa disposizione d’animo. Anche i libri sanno essere altrettanto imbarazzanti e poco igienici, soprattutto quando quelli che attirano la tua attenzione sono vecchi, ingialliti, escoriati, ammuffiti, magari di seconda mano o rimasti ad aspettarti per anni sugli scaffali di un libraio distratto che non li ha fatti finire al macero quando era il momento. A proposito, oggi la vita di un libro non ambisce a più di qualche mese, se siete fortunati trovate libri di due, tre anni prima, ma quasi sempre sono eccezioni.
Mi piace che tra i rifiuti si possano trovare molte eccezioni. Forse è proprio per questo che chi ha voglia di fare ordine mette tutto quello che resiste all’ordine stesso dentro ad una scatola e se ne sbarazza. I regali stanno sempre dentro a uno scatolo.


Fuggi-fuggi (1998 ca, GS, opera su cartone)


Mi sono sempre piaciute le parole. Non tutte. Di alcune non riesco proprio a liberarmi o fare a meno di ripeterle compulsivamente, meglio se in modo inappropriato, come un esercizio, un solfeggio imparato malamente da bambino.