#streetLAW vs #streetART

BLU ricopre, AliCè imbratta e a Bologna si “scippa” allegramente

Blu, il più noto artista italiano di questi ultimi anni [sic!], ha fatto sparire le sue opere dalle mura di Bologna. Un gesto simile l’aveva già compiuto pochi anni fa a Berlino (*), e anche in quell’occasione si sono creati immediatamente schieramenti spontanei, e più o meno coerenti, tra i dispiaciuti/indignati e i sostenitori/puristi/iconoclasti. Tralasciando il valore artistico-espressivo del gesto (la “ricopertura”, in fondo, è il destino segnato per la quasi totalità delle opere di ogni writers che si rispetti), non ci resta che approfittarne per fare i conti con il nostro tipico atteggiamento provinciale (molto spesso più presunto che reale, se si guarda proprio al caso bolognese) e provare a capire perché Bologna non è Berlino.


* «Ho cancellato le mie opere a Berlino»: Blu conferma l’eutanasia artistica
«Il Mitte», 13 dicembre 2014
» http://www.ilmitte.com/blu-conferma-cancellazione-opere-berlino/


Per prima cosa si dovrà ricostruire il contesto in cui acquista un senso decisamente politico il gesto di Blu. A Bologna tra pochi giorni verrà inaugurata la mostra “Street Art – Banksy & Co. L’arte allo stato urbano” (Palazzo Pepoli, dal 18/03/2016 al 26/06/2016)(**). I curatori Luca Ciancabilla, Christian Omodeo e Sean Corcoran, sotto la direzione di Fabio Roversi Monaco, presidente di Genus Bononiae, hanno presentato questo evento come un traguardo fondamentale sia per lo studio del fenomeno in sé, sia per la disciplina della conservazione dell’arte urbana, ma è proprio il modo con cui hanno deciso di affrontare gli aspetti teorico-scientifici a destare più di qualche perplessità.

Le opere dei più rinomati artisti internazionali (da Bansky allo stesso Blu) e una significativa quantità di opere degli artisti della scuola bolognese, sono state semplicemente “strappate” dalla loro sede originaria, senza chiedere agli autori il consenso, giocando in modo pretestuoso e ipocrita con argomentazioni quali il dovere di salvaguardia dell’opera d’arte, la sperimentazione nel campo del recupero… come se la pratica dello “strappo e stacco”, o della rintelatura e trasporto da superfici differenti di opere pittoriche, fossero cosa nuova, o che lo studio del degrado di superfici trattate a spray acrilici necessitasse di una tale radicalità.


** Bologna alla scoperta della street art. La mostra che ha fatto arrabbiare Blu
di Claudia Baccarani | «Corriere di Bologna», 12 marzo 2016
» http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cultura/2016/12-marzo-2016/bologna-scoperta-street-art-mostra-che-ha-fatto-arrabbiare-blu-240165770360.shtml


Soprattutto non regge proprio la posizione assunta dallo scriteriato Christian Omodeo (***), che in barba al buon senso (e al buon gusto), ha dato una lettura egocentrica e non-innovativa del diritto d’autore: si tratterebbe di applicare con la forza le proprie ragioni vantando la supremazia del diritto del curatore alla faccia di quelli dell’autore. Uno stralcio da un’intervista rilasciata a Marco Enrico Giacomelli è lo specchio di un’impostazione triviale oltre che arrogante:

«Rispetto al diritto d’autore, non me ne frega niente. Se espongo un’opera, perché considero che serva a portare avanti un discorso o a generare un dibattito lo faccio, esattamente come un dj che sceglie un sample per creare un pezzo totalmente nuovo. Mi aspetto di essere giudicato per quello che ho creato e non per come ho trattato i sample selezionati. Se poi uno o più artisti sentiranno il bisogno di fare ricorso a un quadro giuridico sclerotizzato come il diritto d’autore, valuterò il da farsi, ma la mia posizione non cambierà: un artista che rifiuta che la sua opera possa essere usata, trasformata, distrutta/conservata o deturpata è e sarà sempre ai miei occhi come una multinazionale che tutela i propri prodotti».


*** “A Bologna è bufera. Sulla Street Art”
di Marco Enrico Giacomelli | «artribune», 3 gennaio 2016
» http://www.artribune.com/2016/01/bologna-street-art-mostra-polemica/


A questo punto vale la pena ricordare nel suo insieme l’ottimo lavoro svolto da Giacomelli, che sempre su «artribune» ha ben orchestrato una serie di articoli e interviste mirate, che hanno il pregio di dare voce un po’ a tutte le parti in causa. In particolare è utile notare il differente approccio “scientifico” esposto da Fabiola Naldi (****), studiosa dei fenomeni espressivi connessi alla street art e curatrice con Claudio Musso di “Frontier”. Come curatrice di mostre ci ricorda che uno degli aspetti fondamentali della street art sia legato alla scelta degli artisti di esprimersi (per lo più) in forma clandestina, interagendo con la città, lasciando un proprio segno, in un contesto urbano ben preciso, e che per molti di loro l’azione è dimostrativa e l’esito in quanto tale non è più rilevante del processo. Per questo motivo il critico come il curatore ha il dovere scientifico di confrontarsi con idee e concezioni nuove sia in merito alla spazialità stessa del museo, sia delle forme e strategie per la conservazione e registrazione dell’opera (della componente materiale quanto di quella immateriale, delle sue ragioni e del suo contesto).


**** Bufera street art a Bologna. Parlano Fabiola Naldi & Claudio Musso
di Marco Enrico Giacomelli | «artribune», 25 gennaio 2016
» http://www.artribune.com/2016/01/bologna-street-art-mostra-polemica-fabiola-naldi-claudio-musso/


Citare a sproposito operazioni come le ottocentesche traslazioni di obelischi o il distacco di artefatti a rischio distruzione, oltre a dimostrare una lampante malafede è approccio del tutto inadeguato in un quadro normativo e giuridico come il nostro in cui il Diritto d’autore, anche se soggetto a profonda crisi (*****), definisce chiaramente i limiti entro cui azioni del genere prendono l’aspetto di indebito “abuso”. Che un curatore si paragoni a un dj birichino, che rubacchia qua e là frammenti di musica altrui per alzare qualche soldo organizzando serate danzanti ad uso di un pubblico pagante, non giustifica certo la leggerezza con cui la città di Bologna si appresta a legittimare un’operazione del tutto scorretta.


***** Bufera street art a Bologna. Le implicazioni giuridiche
di Raffaella Pellegrino | «artribune», 9 gennaio 2016
» http://www.artribune.com/2016/01/street-art-bologna-diritto-autore-legge/


Tanto per rimanere sul registro del diritto (e dei diritti dell’arte) va ricordato anche un altro fatto di cronaca bolognese non meno rilevante: una nota Ansa del 15 febbraio 2016 riportava gli esisti del procedimento a carico della street-artist Alice Pasquini (AliCè). La sentenza inequivocabile (ma appellabile) condanna l’artista ad una multa di 800 euro per “imbrattamento” (******). Quindi a Bologna lo stato riconosce la street art come vandalismo (e i giudici come tale la sanzionano), ma le istituzioni culturali la nobilitano a interesse collettivo… e come tale la “scippano” (staccano) dalla sede originaria e ai legittimi autori, riciclandola come bene economico parcellizzato (il biglietto al museo si paga in euro).


****** Imbrattamento, condannata artista AliCè
«Ansa.it», 15 febbraio 2016
» http://www.ansa.it/emiliaromagna/notizie/2016/02/15/imbrattamento-condannata-artista-alice_3e6b3781-b7c5-4212-af16-abf0f4bf33cf.html


Non vorrei proprio che altri artisti come Blu si sentissero costretti a gesti altrettanto definitivi nei confronti delle proprie opere, ma spero che siano in molti a trovare strade più o meno radicali per lanciare un segnale ai curatori, organizzatori e finanziatori della mostra bolognese. La possibilità che le opere (circa 250) vengano effettivamente ritirate ormai è cosa che interesserà le aule dei tribunali amministrativi, ma nessuno si aspetta sul serio di vedere comparire Bansky davanti a un giudice… Di sicuro spero che i visitatori boicottino in massa la mostra, spendendo meglio il loro tempo con un’azione politica dirompente: andare in giro per la città con il naso per aria in cerca di…


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