Ma in una casa editrice non ci sono solo libri, non si parla solo di libri, non si fabbricano solo libri. Ci sono i pacchi, ad esempio: i pacchi che contengono libri. In una casa editrice finisce sempre che a qualcuno tocca confezionare, spedire e poi riprendere daccapo… a fare pacchi. Per fortuna non ci sono solo i pacchi di libri, ci sono anche i libri sfusi, i libri prima che lo diventino, i libri degli altri, ecc. Però, è inutile negarlo: ci sono anche i pacchi. Io odio i pacchi.


Selfportrait with cutter (rospe, 2007)


Questo è l’anno di Jarry. Una vecchia e “sana” abitudine di :duepunti è la lettura integrale e/o discontinua e/o casuale dei nostri autori preferiti. Tradizione vuole che tra gli autori di :duepunti, che sempre ritornano durante le nostre sedute concitate, abbia un posto speciale Alfred Jarry. Questo è l’anno di Jarry. Anche se facciamo finta di ignorarlo siamo in agitazione: ci aspettiamo da un momento all’altro che qualcuno dichiari aperte le celebrazioni ufficiali… Ovviamente quelle di :duepunti. In attesa che si manifesti il nostro contributo patafisico (sarà un libro? una testa di cavallo? uno stuzzicadenti? una candela verde?), ho come l’impressione di starne già subendo una certa influenza… D’altro canto: questo è l’anno di Jarry.

Ultimamente faccio di tutto per dimenticare di essere il responsabile delle spedizioni di :duepunti. Il lavoro in sé non è troppo impegnativo, ma tende a farsi noioso. Si tratta di fare pacchi. Allora immagino di riempirli con dei mattoni, immagino di essere in una fabbrica che inscatola di tutto, e magari metto bulloni al posto di borlotti, cicche invece di acciughe…


Importante è essere professionali (2007, rospe)


Qualche giorno fa ho avuto la strana impressione di non essere del tutto a posto. Ho anche controllato: chiavi, occhiali, scarpe allacciate, borsa con i pacchi, bollettini, nodo alla cravatta, soldi, spicci per il resto… tutto a posto? Eppure, qualcosa non andava… una controllata alla patta… ecco fatto. Tutto a posto. Destinazione sportello pacchi e raccomandate dell’ufficio postale di via BL. Supero il primo ostacolo, controllo chi sta seduto dietro il vetro: se è quella… giro i tacchi e me ne vado. Un tipo nuovo, pare innocuo, si può fare. Mi prude la spalla destra.

In fondo, non sono i pacchi in sé che odio, loro sono solo un’epifenomeno. E non è neanche tutta la storia della registrazione burocratica di tutti i dati, indirizzi, codici, etichette, ecc. O il dovere compilare a mano quegli assurdi moduli colorati. Non nego che sia noioso, l’ho già detto, ma è un po’ come una pratica zen. Il “passa la cera, togli la cera” tormentone di un film che abbiamo visto tutti anche se poi lo negheremmo in pubblico. No, in realtà io odio… ma proprio per davvero… io odio… io la odio, davvero!


Pacchi ovunque (rospe 2007)


All’inizio non ero io l’incaricato di sbrigare le pratiche postali, ma poi un po’ per volta mi sono lasciato illanguidire, tentare dalla possibilità di sfuggire per qualche ora alla routine dell’ufficio. Ho persino pensato, magari prendo un po’ di sole, vedo gente. Magari è pure divertente. L’ho pensato, ne ho le prove. Mi vedevo impassibile, imperturbabile, ma allo stesso tempo tanto umano, tra una varietà illimitata di casi antopologicamente interessanti. Mi vedevo vestito da naturalista vittoriano con tanto di casco da esploratore in testa, mentre annotavo tutto su un taccuino. Ecco, ero convinto che sarebbe stata una specie di vacanza scientifica. Avrei osservato la noia e il torpore degli impiegati (“tutti schiavi della nicotina”), l’irritazione dei pensionati (“ma devo fare il turno con la lettera C o quello con l’H?”), la confusione delle massaie (“una raccomandata sarà sufficiente? c’è qualcosa di più imponente di una raccomandata?”), l’arroganza dei praticanti (“e poi alla fine pago con il bancomat”). Mi prenda un colpo: all’inizio mi piaceva.

Mi prude la spalla, quella sinistra, e il tipo dietro il vetro è uno nuovo. Tocca a me. «Salve!», pare rispondermi «salve un c…». Ma io sono abituato. Ormai è da tempo che non mi sembra più una vacanza scientifica questa pratica della fila allo sportello, delle attese, della macchinetta che si inceppa e ti trita il modulo e devi ricominciare. No, non mi pare più che sia divertente: per nessuno. Ma questo è uno nuovo e per prima cosa si presenta con un mezzo «ma che voi?». Io ormai sono abituato, dopo essere passato per le grinfie di quell’altra… di quella là, insomma. Quella che adesso è passata allo sportello pensioni e secondo me l’hanno messa lì a posta, come una specie di dottor morte per il pensionato. Quella sta lì, e a forza di fare macelli, di fare e dire cose irritanti, di non capire quello che le dici, di sbagliare pratica e trascrive il tuo nome al contrario… avrà fatto fuori non meno di una mezza dozzina di vecchietti, solo negli ultimi venti giorni. La odio. Ma adesso non può più farmi niente. Orami sono a posto, e poi c’è questo tipetto nuovo, sotto sotto c’ha la faccia di uno buono. Sì, buono a niente.


Posta di rappresentanza (rospe, 2007)


L’alienazione fa parte del lavoro. Il lavoro seriale permette di raggiungere stati della mente in cui è possibile concepire qualcosa di realmente astratto. Facendo pacchi si può conoscere dio. Non personalmente, intendiamoci, più una specie di nirvana, di rivelazione del vuoto assoluto. Uno stato di grazia. Sempre se non finisce il nastro o ti lasci partire il cutter e ti apri il pollice come sbucciassi fave. Davvero. Fare pacchi è davvero quello che mi ci vuole per assecondare la dis-creatività: il desiderio di nullità assoluta. Mi illudo, ma non mi convinco fino in fondo: odio i pacchi.

Mi gratto la spalla, adesso mi sta sui nervi. Dico il tappetto saccente che mi ritrovo davanti. Mi ha appena spiegato come la pensa sulle tariffe speciali, sulle convenzioni che la sua Azienda fa con la mia azienda. Dice che sono soldi rubati. Che non varrebbe la pena, proprio per niente, di fare sti prezzi pidocchiosi per dei pitocchi come noi (parliamo della tariffa per l’editoria, stabilita da decreto ministeriale e che è l’unica garanzia per gli editori piccoli-piccoli di non finire gambe all’aria). Questo imbecille non è solo fastidioso e indolente, c’ha pure una Visione Aziendale d’Insieme. Ed è quando realizzo questo pensiero che mi accorgo…


Creature ubuesque ci circondano (:duepunti 2007)


Sulla mia spalla sinistra s’è spostata la scimmia cinocefala, l’assistente del dr. Faustroll: Bosse-de-Nage. Mi sorride, come può ovviamente. Mi guardo intorno. Nessuno è particolarmente sconcertato dalla presenza del mio passeggero, ma in fondo sono io quello decervellato qui, sarò io che nei pressi della strada verso il mio “nulla assoluto” avrò fatto una deviazione per i mondi di Jarry. Non credo che sia preoccupante: tanto ormai è fatta. Bosse-de-Nage, fa spallucce. Per queste cose filosofiche, anzi per le risposte ‘patafisiche, c’è il dr. Faustroll. Il tipetto alla fine ha fatto il conto di quanto devo… Che cosa? «Certo» fa lui, «sono tutte spedizioni internazionali». Effettivamente tutti i pacchi sono indirizzati allo stesso destinatario: Monsieur Faustroll, rue Richer, 100 bis, Paris.
La scrittura è quella inconfondibile dell’odiosa scimmia-babbuino. La guardo. Ci guardiamo. Guardo l’occhio bovino del tipetto dietro il bancone. Bosse-de-Nage mi precede: «Ha, ha».
Cos’altro aggiungere, è l’anno di Jarry, e io odio sempre i pacchi.


LETTURA OBBLIGATORIA
Alfred Jarry, Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico. Romanzo neo-scientifico, a cura di Claudio Rugafiori, Adelphi, Milano 1976 (trad. it. di C. Rugafiori e H.J. Maxwell).