Ossessioni. Per frantumi, ma in ordine. Una delle mie ossessioni ricorrenti, anzi, una delle ossessioni ricorrenti nell’immaginario di :duepunti ha la lisca. E pensare che il pesce neanche mi piace. È troppo impegnativo, si deve avere una laurea in chimica per distinguere il pesce azzurro dal pesce blu al mercurio, è traditore, non lo puoi sbattere nella borsa del portatile, non lo puoi portare a passeggio sotto braccio, lo devi acquistare dove lo vendono e non lo vendono mai quando lo vuoi e non sei dove lo tengono, è spesso oggetto di ilarità se fa la sua comparsa in una frase innocente, non si sa se contenga un’anima, non si sa se soffra, ha gli occhi tondi, se viene servito in tavola devi dimostrare competenza anche nell’uso delle posate, ricordo vagamente che non tutti gli animali che stanno a mollo sono pesci (delfini, capibara, squali, sub, barili di scorie, balene e oloturie), il prezzo è stabilito in base ad accordi internazionali sensibili agli indici dow jones, se ti piace, spesso lo desideri, ma dopo che l’hai cucinato non sai più come liberarti dal suo ricordo appestante, non sai con precisione da dove venga (panta rei), e poi… è ancora avvolto dal ricordo intransigente delle ingerenze materne sotto forma di cantilena persecutoria: «mangia il pesce che c’è il fosforo che diventi intelligente».


Merluzzo non è un'offesa (2005, rospe)


Tutti ricordano di avere osservato in assoluto silenzio il pesce rosso nella boccia. Io ne ho avuti parecchi, in periodi diversi della mia infanzia. Tutto ha inizio con il ritorno a casa del papà con una bella busta di plastica trasparente riempita a metà d’acqua. Dentro ci sguazza qualcosa di arancione con riflessi dorati. La cosa mette appetito e curiosità. Quasi immediatamente ti rendi conto che si tratta del gioco più inutile del mondo. Il coso nella boccia non fa altro che girare intorno, tuttavia dopo un po’ ti abitui, e anche se non lo sai ancora, quel moto ripetitivo è come una specie di massaggio cerebrale, un dolce, inutile massaggio ipnotico. A un bambino fare meditazione non serve a niente, tutto tempo sprecato, tutto tempo rubato alla televisione e agli schiamazzi per strada. Ma non lo sai e allora già che ci sei ti metti a fantasticare sulle proprietà ottiche della boccia deformante. Il colore, le dimensioni e persino il numero delle cosette che stanno nella boccia cambiano con una certa frequenza. Il ritmo delle apparizioni, scomparse, sostituzioni e addizioni è legato a incidenti domestici, i quali più che responsabilizzarti (non hai dato da mangiare a Billy per una settimana, hai lasciato miss Dolly a cuocere in balcone) ti spingono a non fare più molto caso a quel piccolo microcosmo ornamentale: dai per scontato che i cosi continuino a girare in tondo. Se c’hai preso gusto a farti la tua mezz’oretta settimanale di trance da “boccia coi pesci”, dopo un po’ sei pronto a passare ai cicli della lavatrice. Soppesando, continui a non sapere se i pesci abbiano o meno un’anima (qualora ne avessero una si giustificherebbe perché alcuni non trovano di meglio da fare che saltare fuori dalla boccia), ma di sicuro gli stracci colorati dentro la lavatrice… ce l’hanno.


Alici in rosso (2005, rospe)


Poi un giorno si fa la spesa tutti insieme e si ammirano le forme di una specie di mostro marino dalle dimensioni contenute, acquistato poco prima nella totale certezza che sia morto di vecchiaia. Si è nella cucina di Casa S. e si deve approntare un pranzo di lavoro :duepunti. Si apre o si chiude il menabò di uno dei quattro numeri della rivista (ovviamente si chiama :duepunti). Dovrebbe essere il 1995 circa, siamo in quattro, tutti fanno qualcosa: gdl legge poesie, gs sbruciacchia soffritti e tormenta casseruole, alc professoreggia sul giusto mezzo e l’opportunità di usare un vino adeguato anche per accompagnare un vino scadente, io fisso il mostro: ha gli occhi tondi.


Acciughe in fuga (2008, rospe)


Un giorno mi trovo al mercato di Ballarò, a dire il vero ogni giorno passo molto tempo al mercato, ma quel giorno in particolare mi capita di andare al mercato dopo che il mercato ha chiuso… poco prima che inizino le pulizie generali degli sgombramacerie (i moderni “monatti comunali”, da sempre nemici di :duepunti) e quando già tutte le bancarelle e gli avventori multietnici si sono dileguati. Dei colori e del moto vorticante non resta quasi niente, gli odori, invece, si sono fatti più forti e confusi. Questo è il profumo della città che ho amato sin da prima che potessi solo sospettare che una città si potesse amare come una cosa viva. La città di certo ha più anima di quanto non ne dimostrino cento scatolette di acciughe soppressate e sfilettate. Saranno sempre i primi anni Novanta e io sono uno studente della Facoltà di Architettura. Per motivi di servizio ci muoviamo sempre in piccoli gruppi alla ricerca di frontoni scalcagnati da fotografare, cippi dissestati da rilevare e prospetti di vecchi stabili da schizzare con proverbiale disprezzo delle proporzioni. Così mi ritrovo per le mani la mia macchina fotografica preferita, una manualissima reflex Zellith, di produzione sovietica senza esposimetro e con una rigatura sullo specchietto sotto il diaframma (non so esattamente quello che sto scrivendo), che garantisce molta personalità a tutte le mie foto, ovviamente a tute quelle che non vengono bruciate durante l’operazione di estrazione della pellicola. Quel giorno sono in compagnia di A. Stra (il mio gruppo “progettazione creativa”), ovviamente lui disegna cose più belle di quelle che vede: tiene la testa rivolta in alto e i suoi acquerelli straripano di folletti, ninfe ed essenziali. Io tengo lo sguardo ben infisso nel terreno, fotografo scoli di sostanze liquamescenti, marronastre con riflessi petrolio, ho il cuore in gola e penso: queste sono le conseguenze dell’amore? Il troppo amore rivolto a questa città finisce (o inizia) qui. Mi incantano le composizioni e gli accumuli quasi casuali. Una distesa di teste mozzate di pesci di vario formato. Mi fissano centinaia di occhi tondi. Scatto la mia foto, non verrà, ma inizia così l’abitudine di fotografare pesci morti.


Alici in rosso (2005, rospe)


Chi non è stato ad aspettare il suono della sirena alle quattro e mezzo del mattino non può capire. Chi non è stato mai al mercato ittico di Palermo non può capire. Chi c’è stato per motivi validi non può capire. Chi non c’è stato con noi – durante uno dei tour notturni di :duepunti – non lo può capire. Se fosse dimostrabile, anche solo in via teorica, il contrario, io continuerei ad ostinarmi nel ripetere che non lo si può capire. I tour fotografici notturni di :duepunti sono stati il primo tentativo di costruire una tradizione e di condividerla con amici e conoscenti. Per almeno tre anni consecutivi (e strascichi), abbiamo festeggiato la primavera organizzando delle spedizioni scientifico-cialtronesche di fotografi improvvisati per le strade, vicoli e budelli del centro storico di Palermo. Tutto rigorosamente in notturna, sempre senza meta. Con noi hanno passeggiato edu il rosso, gm l’avvocato, nanni lentopede, co’, fra’tello di edu, laura-occhi-verdi, ’bbriele degli om, e forse altri non invitati. In seduta speciale, e privi di mezzi meccanici per la riproduzione fotografica, abbiamo ripetuto con sasà regista-attore. Al mercato ittico la tappa più emozionante, poco prima di finire stremati all’alba davanti al mare. La magia delle voci, dei colori e delle composizioni viventi delle cassette del pescato fresco ancora imbrattato di schiuma di mare… non la saprei spiegare a parole, e voi non la potreste comunque capire.


Acciughe in fuga (2008, rospe)


Poi ci sono delle strane coincidenze, segni dispersi qua e là nella mia vita che si intrecciano con quella di :duepunti e i pesci. Ad esempio: la nostra prima rivistina a diffusione cripto-universitaria era prodotta con forbici e colla, e poi fotocopiata. Restando sempre un avanzo non indifferente di carta (lo sfrido nemico di ogni buon editore), di volta in volta veniva ad essere trasformato da rimasugli di produzione in “qualcos’altro”. Una volta vi inserimmo un bel pesce, ottenendo così centinaia di foglietti lunghi e stretti con al centro un pesce. Il “qualcos’altro con al centro un pesce” saltava fuori ogni volta che dovevamo prendere un appunto veloce, ogni volta che non sapevi dove poggiare la tazzina del caffè, ecc. Quel pesce nel tempo è diventato (assieme alla lavatrice) l’elemento guida di :duepunti.org, ma ancora prima fu usato da me come biglietto da visita per una selezione di aspiranti scrittori esordienti. Ricordo soltanto questo, che sotto il pesce avevo scritto la mia presentazione in termini piuttosto indecifrabili e che poi fu riprodotta (con tanto di pesce) in una specie di pubblicazione casereccia dell’organizzatore della serata di letture (SFF). E questo aneddoto, che potrà sembrare pretestuoso e vagamente artereosclerotico, in realtà serve soltanto a ribadire che il pesce l’ho usato pubblicamente io prima ancora che esistesse :duepunti.org e molto prima che diventasse, nella versione radiografata, il marchio di :duepunti edizioni. E pensare che il pesce neanche mi piace.


Questo non è un pesce (1995, :duepunti)


A proposito di coincidenze e antefatti voglio trascrivere un frammento di una raccolta di testi immagini e cose che è apparsa su :duepunti.org nel 2002: Prendi 10 cose, se vuoi puoi nasconderle.

«In trasparenza si vede quello che si agita ingabbiato tra spine ossee / cartilagini / vasi e organi cavi che si riempiono di umori. Nella sinistra trasparenza delle radiografie dello zio morto di polmonite, sta scritta tutta la verità. Dissezionando cadaveri con la scusa di doverli mangiare… osserva il complesso reticolo di ingranaggi e la semplicità della disposizione delle parti. Ma si può studiare solo la gabbia, perché l’uccellino – vivo o morto che sia – è già fuggito».

Questa è una specie di didascalia per un disegno – In trasparenza – dai tratti infantili e un po’ crudeli, è un pesce radiografato. Un paio di anni dopo ci siamo ritrovati un pesce radiografato sul frontespizio dei nostri libri, e nessuno si è ricordato di quell’altro precedente… neanch’io. Dicono che il pesce contenga fosforo, si dice che il fosforo aiuti la memoria, e poi c’è quella storia del «mangia il pesce che c’è il fosforo che diventi intelligente». Ovviamente ne ho mangiato troppo poco e anche per questo ringrazio mia madre.


 Sgombri in fuga (2008, rospe)