La mia più cara amica ha il dono di mettere sempre a soqquadro la mia esistenza, è stato così sin dal primo momento. Allestivamo una mostra di disegni d’architettura, eravamo nel gruppo degli studenti semivolontari. Mi si è presentata e dopo cinque minuti di conversazione mi ha detto: «Ecco, vedi sei uno snob». Seguono anni di cose fatte insieme e cose che avremmo dovuto fare insieme. Poi un giorno mi ha informato di voler diventare una redattrice editoriale e dopo se n’è andata a lavorare a Milano… e io ho perso la mia compagna di jogging. Ecc.
“Te l’aspettavi?”. No, sì, forse. Bho! E pensare che qualche anno fa avevamo creduto che fosse possibile sul serio. S’era fatto il nome di Le Clézio per il Nobel, ma poi niente. E tutti continuavano a ignorare il nostro lavoro, forse non tutti, ma tra pacche sulle spalle e segni di incoraggiamento non potevamo certo nascondere il nostro grande disappunto nel notare come gli ingranaggi di questo enorme tritatutto rispondano a regole a dir poco curiose. Di certo noi non andavamo a caccia di Nobel quando abbiamo deciso di credere ne Il verbale. Eravamo sorpresi dal fatto che un autore così importante all’estero fosse ignorato in Italia. Ma poi neanche troppo sorpresi. La prima edizione italiana (Einaudi) era scomparsa dalla circolazione da quarant’anni e nessuno se ne era più occupato. Soprattutto nessuno si ricordava più di quel giovane autore che con il suo libro d’esordio sembrava dover diventare qualcuno… e che poi, invece, è diventato qualcun altro. Sì, perché Le Clézio, lo sforna bestseller degli anni successivi, non è più il ribelle, riflessivo e provocatore, del suo fulminante esordio. Ha anticipato le contestazioni, le inquietudini, gli sperimentalismi dei primi anni Sessanta, ma infiacchisce rapidamente, si reinventa autore confidenziale, di confidenze autobiografiche e nostalgie da viaggiatore un po’ turista un po’ narciso. E scrive, scrive tanto, e ha successo, tanto successo. D’altro canto l’autore de Il verbale non poteva diventare uno scrittore seriale… ma forse poteva lasciare qualche altra traccia di quella violenza, di quell’inquietudine che avvolge Adam Pollo come in una camicia di contenzione, come in un sudario. Amen.
Non c’è tempo, e sono già le 12. Sabrina ci telefona per la centesima volta, i toni si sono fatti preoccupati. «Siamo sotto. Abbiamo bisogno di pensare ad una ristampa». «Bene se ne può parlare… quando?» «Per la prossima settimana». «Quando?». «Per mercoledì». «Cosa?». «Ti passo Claudio». Claudio è il boss. Ha la voce di chi sa che ti convince comunque, la conversazione può durare due ore o cinque minuti, ma alla fine tutti saranno convinti di avere fatto la scelta più giusta, di aver ponderato bene i pro e i contro, di essere stati bravi a tenere la posizione e farci una bella figura… da uomini di mondo, di avere tenuto duro, di essere stati bravi, di… 10.000 copie in ristampa in cinque giorni. Fiato. Riferisco ai compagnetti. Fiatiamo. Beh, in fondo… diecimila?! In tre giorni i libri in allestimento, al quarto nel retro dei furgoni per tutte le destinazioni, al quinto in vetrina. Due parole: cacchio… cacchio.
Tutti accendono qualcosa, chi sigarette, chi sigari ecc. Nuvole di fumo cariche di pensieri si addensano poco sotto il soffitto. Mi vengono in mente – ma che c’entra? – i fratelli Marx: “c’è un dottore in sala?”. Sono le otto di sera. Nessuno è tornato a casa, nessuno ha avuto il tempo di pensare che esiste qualcosa fuori da questa stanza. Non ricordo esattamente se ho letto quel libro… Il verbale… ma di che parla? Ma chi è sto Le Clézio? Ma chi si ricorda? Sbatto le dita sui tasti del computer e faccio qualcosa che evidentemente è molto importante. Faccio bene il mio lavoro e non so se è esattamente quello che volevo fare. Ma chi sapeva esattamente come sarebbe stato fare l’editore? Però una volta tanto quello che faccio è certamente il lavoro dell’editore. Speriamo che nessuno mi faccia domande in proposito. Bisogna preparare risposte comunque. Sbatto le dita sui tasti in modo da produrre più rumore possibile. Ma non avrai mica dubbi? No, preferirei di no… in questo momento. Sbatto sui tasti. Comincio a sragionare. “Wazz de matter doc?”.
È l’una di notte. Tutto bene. […] Sono le tre, cacchio, rifare, rivedere, reimpaginare, controllare, digita, digito, digitiamo. Cacchio, mi piace questo lavoro fatto di fumo e ripensamenti. […] Sono le cinque, domani alle otto si ricomincia, e sarà una corsa ancora per giorni, e il pizzettaro appena alza la cornetta ha già l’ordinazione pronta. «E le birrette?». «E sia: metta, metta». Ma va tutto bene. Possiamo passare alla prossima, perché tanto di prime volte ne abbiamo ancora parecchie che ci aspettano. O forse no? Chi può dirlo. Ma in tanto: collaudo effettuato.
SE VOLETE SAPERNE DI PIÙ:
A Night at the Opera, direct by Sam Wood, with The Marx Bros, Us 1935