Ecco, è successo di nuovo. Anche se provo a pensare a quali dovrebbero essere gli argomenti adeguati alle riflessioni di un editore piccolo-piccolo (leggi contro il diritto di resa, sgravi, sgravi, sgravi, incentivi, incentivi, incentivi, politiche per il prezzo unico, aggressione dei mercati stranieri, aggressione del potenziale lettore e ancora sgravi), poi finisco con il pensare ai fatti miei. Ecco, i fatti miei si impongono di continuo alla mia attenzione. Fare libri diventa una specie di interludio tra una cosa e l’altra. Quindi come fare a non soffermarsi su quella che attualmente è la rivoluzione più significativa che ha registrato la mia attività? Come inizia la giornata di un editore? Diciamo, a prescindere dalla sua dimensione, dal volume delle vendite, dai fatturati, dall’incipiente calvizie o dalla propensione a comportarsi in modo decisamente sconveniente nei confronti della nuova stagista. Sono arrivato alla conclusione che inizia in modi diversi, che è impossibile omologare questo preciso momento, anzi, è proprio impossibile sapere che cosa sia esattamente questo momento per ognuno degli editori possibili. La mia giornata, fino a qualche settimana fa, iniziava immancabilmente nello stesso modo. «Buongiorno signor Giovanni».


Apri e chiudi tutti i giorni (2007, rospe)


Da quando abbiamo cominciato a frequentarci (e sono passati tanti anni), la casa di :duepunti è sempre stata questa, magari abbiamo avuto anche delle sedi alternative (alcune degne, altre meno, altre improponibili come il baretto della stazione della metropolitana sotto casa mia), ma siamo sempre ritornati alla comodità dei divani vagamente fatiscenti e alle atmosfere surreali di casa S. A presidiare questa roccaforte delle nostre riunioni semiclandestine e dei nostri futuri improbabili c’è sempre stata la presenza amica e paterna di una persona eccezionale. Il signor Giovanni, con la sua timidezza impeccabile, con gli occhi intelligenti e le mani operose che sanno svitare lampadine, aggiustare roba andata in frantumi e fare poesia con il fildiferro. Il signor Giovanni, custode dello stabile e primo sorriso della mia giornata.

Quando l’ho saputo non volevo crederci, anzi non volevo proprio esserne informato, una specie di difesa infantile dalla realtà. «Sai la novità? Il signor Giovanni va in pensione». Magari se faccio finta di niente, non è vero. È evidente che persino io mi sia accorto che non funziona esattamente così… ma tanto vale provare. Così per settimane e settimane ho fatto finta di niente, e ogni mattina quando passavo dalla portineria, c’era sempre il solito scambio di battute e sorrisi, ma entrambi evitavamo di guardarci in faccia. Così, giorno dopo giorno, diventava sempre più evidente che in una maniera tutta mezzisorrisi e cenni d’intesa impercettibili ci stavamo preparando per il momento in cui fingere di non sapere non sarebbe più servito. Conosco persone in grado di fingere così tanto bene che se le fermi per strada e gli chiedi “e allora come stanno le cose?”, ti rispondono senza fare una piega “di che parli?”. E non ti stanno prendendo in giro, hanno semplicemente dimenticato qual è la differenza tra fare finta e fare sul serio.


Apri e chiudi ogni santo giorno (2007, rospe)


Una volta, era d’estate, e forse era un pomeriggio come questo, ho sentito risuonare tutta la scala dello stabile. Era la voce di un clarinetto che si arrampicava per le rampe, che rimbalzava tra i pianerottoli, le note facevano gli scalini a quattro a quattro. Senza fretta, però. Poi la musica è finita, così di colpo. «Ma che era?». «Niente, niente, il signor Giovanni che fa le scale». Sì, il signor Giovanni ci ha regalato anche questi momenti surreali, pieni di poesia.

Il signor Giovanni è stata la prima persona a vedere i nostri libri, è stato lui a ricevere i trasportatori e a intercettare i nostri libri, sì, perché quella volta i trasportatori avevano pensato bene di consegnarli ai magazzinieri della Sellerio (i nostri vicini di casa editrice). Senza di lui forse non li avremmo ricevuti affatto. Forse senza il suo intervento non saremmo neanche diventati davvero degli editori. Si sono mai visti editori senza libri? Magari esagero, però è vero: il signor Giovanni è stata la prima persona a vedere i nostri libri, ancor prima che venissero fuori dagli scatoloni incellophanati. E ci ha voluto aiutare per forza a fare il primo carico. Lui resterà sempre uno di noi, e non per quello che ha fatto, ma per come l’ha fatto: con delicatezza, senza troppe parole, da amico.


E ora come si fa ad aprire? (2007, rospe)


Senza troppe parole. Eppure il signor Giovanni si illumina quando capisce che la tua non è soltanto cortesia. Quando parla della banda in cui suona, quando ti mostra i suoi tesori trascritti con una grafia precisa e puntigliosa: i suoi quaderni fitti fitti di accordi e note musicali. Non importa che tu non ci capisca un’acca, lui è accomodante, ti perdona anche quando dici una sciocchezza, perché sa distinguere tra chi finge e chi fa sul serio. È per questo che i sorrisi scambiati con lui ti illuminano la giornata.

Adesso la mia giornata inizia esattamente come prima, appena metto piede in portineria, proprio ad un passo dal gradino d’invito, mi ripeto sottovoce: «Buongiorno signor Giovanni». È diventato un obbligo iniziare la mia giornata con un sorriso, qualcosa da difendere contro le telefonate spazzatura, le e-mail spazzatura, i numeri che non capisco, le fatture, i pacchi da spedire, i libri bolliti e quelli che a fatica diventano i nostri. Ecco, qualcosa da difendere, e se è possibile da scambiare, perché il nostro baluardo, il nostro eroe gentile, i sorrisi li concede anche ai perfetti imbecilli.