Da quando abbiamo cominciato a frequentarci (e sono passati tanti anni), la casa di :duepunti è sempre stata questa, magari abbiamo avuto anche delle sedi alternative (alcune degne, altre meno, altre improponibili come il baretto della stazione della metropolitana sotto casa mia), ma siamo sempre ritornati alla comodità dei divani vagamente fatiscenti e alle atmosfere surreali di casa S. A presidiare questa roccaforte delle nostre riunioni semiclandestine e dei nostri futuri improbabili c’è sempre stata la presenza amica e paterna di una persona eccezionale. Il signor Giovanni, con la sua timidezza impeccabile, con gli occhi intelligenti e le mani operose che sanno svitare lampadine, aggiustare roba andata in frantumi e fare poesia con il fildiferro. Il signor Giovanni, custode dello stabile e primo sorriso della mia giornata.
Una volta, era d’estate, e forse era un pomeriggio come questo, ho sentito risuonare tutta la scala dello stabile. Era la voce di un clarinetto che si arrampicava per le rampe, che rimbalzava tra i pianerottoli, le note facevano gli scalini a quattro a quattro. Senza fretta, però. Poi la musica è finita, così di colpo. «Ma che era?». «Niente, niente, il signor Giovanni che fa le scale». Sì, il signor Giovanni ci ha regalato anche questi momenti surreali, pieni di poesia.
Il signor Giovanni è stata la prima persona a vedere i nostri libri, è stato lui a ricevere i trasportatori e a intercettare i nostri libri, sì, perché quella volta i trasportatori avevano pensato bene di consegnarli ai magazzinieri della Sellerio (i nostri vicini di casa editrice). Senza di lui forse non li avremmo ricevuti affatto. Forse senza il suo intervento non saremmo neanche diventati davvero degli editori. Si sono mai visti editori senza libri? Magari esagero, però è vero: il signor Giovanni è stata la prima persona a vedere i nostri libri, ancor prima che venissero fuori dagli scatoloni incellophanati. E ci ha voluto aiutare per forza a fare il primo carico. Lui resterà sempre uno di noi, e non per quello che ha fatto, ma per come l’ha fatto: con delicatezza, senza troppe parole, da amico.
Senza troppe parole. Eppure il signor Giovanni si illumina quando capisce che la tua non è soltanto cortesia. Quando parla della banda in cui suona, quando ti mostra i suoi tesori trascritti con una grafia precisa e puntigliosa: i suoi quaderni fitti fitti di accordi e note musicali. Non importa che tu non ci capisca un’acca, lui è accomodante, ti perdona anche quando dici una sciocchezza, perché sa distinguere tra chi finge e chi fa sul serio. È per questo che i sorrisi scambiati con lui ti illuminano la giornata.
Adesso la mia giornata inizia esattamente come prima, appena metto piede in portineria, proprio ad un passo dal gradino d’invito, mi ripeto sottovoce: «Buongiorno signor Giovanni». È diventato un obbligo iniziare la mia giornata con un sorriso, qualcosa da difendere contro le telefonate spazzatura, le e-mail spazzatura, i numeri che non capisco, le fatture, i pacchi da spedire, i libri bolliti e quelli che a fatica diventano i nostri. Ecco, qualcosa da difendere, e se è possibile da scambiare, perché il nostro baluardo, il nostro eroe gentile, i sorrisi li concede anche ai perfetti imbecilli.
bob,
sei stupendo.
hai scritto un elogio così commovente e toccante che mi viene da piangere pensando al sig. giovanni e vorrei scendere a palermo per stringergli la mano e ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per voi.
e per me anche, tutte le volte che sono venuto a trovarvi.
passando in fretta e furia dalla portineria, notando sempre due occhi che si posavano su di me come una mano passa tra i capelli, naturlamente.
anch’io cerco d’essere, come te poeta, ma non ne ho la stoffa.
ti ringrazio per le tue parole.
saluti
sasa°
Non si fa così. Io non ne sapevo niente. Mi ci stavo affezionando anch’io, nonostante le mie latitanze. In fondo era anche il mio portiere, portiere di garage, ma anche il mio portiere. Ricordo quando spaccai con la mia macchina in retromarcia la saracinesca che si trova alla fine dello scivolo del garage (che idiozia, mettere una saracinesca lì dove uno è ovvio che ci sbatte con la macchina in retromarcia). Io lasciai un bigliettino addossandomi tutte le colpe, chiedendo umilmente scusa, povero neopatentato, e il signor Giovanni fece da paciere col proprietario di quella saracinesca (che continuo a pensare che abbia le sue colpe). I primi contatti col signor Giovanni. Poi i rapporti si sono un po’ allentanti, ma comunque sapere che di fronte, a due passi, c’era uno come lui e non come il mio signor Mimmo che al citofono sapeva dire solo “macchina…spostare signora vigili…la palma”, era rassicurante, giuro. Noo, il signor Giovanni se ne va. Cose da pazzi.