una anomalia in una città altrimenti normale

Andiamo a Pisa, siamo lì per lavoro, tutto sembra andare di mmerda, da copione. A Pisa la torre pende solo per i turisti, gli altri se ne infischiano, i gatti se ne infischiano. Per le strade sono tutti studenti: puoi provare a indovinare quali sono i normali e quali l’insalata. In giro si vede quasi solo insalata. Gli studenti non sanno spiegarti esattamente come raggiungere Campo dei Miracoli, a un certo punto lasciano cadere la carta topografia e dicono “di-là”. Non capisci se ti stanno prendendo per il sedere o sono solo stremati dallo sforzo. C’avranno le loro preoccupazioni, ma è più probabile che non lo sappiano davvero. Pisa è troppo piccola per sapere dove ci si trovi, bastano due passi e sei dove dovresti essere o sei tornato esattamente al punto di partenza. A Pisa sembra che tutti siano spensierati.

C’abbiamo messo una settimana per capire che stavamo partendo per la nostra prima fiera. La prima da espositori, fuori dalla Sicilia. Niente di eccezionale, capita a tutti la “prima volta”. Noi siamo ancora nella fase in cui la prima volta è una cosa nuova, che ti fa andare il cuore in gola e il colon di traverso, eppure cominciano a essere tantissime. La prima volta che abbiamo inviato un dischetto e ci sono tornate indietro trenta casse di libri. La prima volta che hanno sbagliato a scrivere il nostro nome su una testa nazionale. La prima volta che sono stato intervistato per un’emittente regionale, la prima volta che ho provato a registrarmi e ho sbagliato cassetta, così adesso ho due pezzi di Daunbailou con al centro la pubblicità di un tale che vende un set completo di pentole, un set di coltelli, un set di quadri e un paio di sferette magnetiche che se applicate dietro la nuca vi distraggono a tal punto dal desiderio di fumare che poi non riuscite più a ricordare dove avete cacciato il maledetto accendino.

A Pisa ci sta un sacco di bella gente, studenti per lo più. Per lo più non sono di Pisa, alcuni non sono neanche italiani, e della torre se ne infischiano… l’avevo già detto. A Pisa ci sta un nocciolo di resistenza intelligente, o se volete, una noce resistente all’intelligenza. Non intendo i soliti quattro studenti debosciati, più somiglianti alle capre che agli innocui vegetali, e che stanno tutto il santo giorno a ruminare. Una cellula di resistenza nel senso che lì, nel laboratorio di Via Rughettari, si trova realizzata la società utopica che avevo sempre sperato di trovare un giorno. Un gruppo di studenti – tutti filosofi, alcuni iscritti alla facoltà giusta, altri forse – che condividono uno spazio esistenziale unico. Quasi a metà della stretta via Rughettari sta il loro ricetto, che occasionalmente (e molto magnanimamente) condividono con una varia umanità di visitatori. Su una parete stanno affissi pizzini colorati, cartoline, post-it, incrostazioni di grafie incomprensibili, lascito di tutti quelli che entrati come visitatori sono stati restituiti al mondo come testimoni e novizi evangelisti. Come per il miglior Fight club l’unica regola è “non si parla di via Rughettieri”. Eppure se ne parla. Se ne parla tanto e nei modi più impensati. Tutti gli accoliti mantengono un anonimato degno della migliore eversione anni Settanta. Eppure l’anonimato fa soltanto parte della regola. Questi qui sono un po’ come dei frati di un ordine monastico tutto nuovo da interpretare.

Campo dei Miracoli a quadretti (2006, matita su taccuino, rospe)

Comunque noi siamo qui perché siamo stati invitai a partecipare al Pisa Book Festival, e grazie al nostro Patrik Ourednik, scrittore e uomo fuori dal normale, siamo anche stati inseriti nel calendario degli incontri principali. Alessandro Catalano, il curatore della sezione tematica sulla Repubblica Ceca, ci ha invitato a forza perché voleva assolutamente dare l’idea di quanto poco si conosca la cultura ceca odierna e di quanto sia folle, intelligente, imprevedibile e fuori dal tempo. Ourednik non poteva mancare, bla, bla. Ma noi siamo qui anche per mettere su lo stand, fare la nostra prima esperienza… tutta roba già detta. E nonostante ogni nostro buon proposito, appare subito evidente che le cose non andranno come previsto. Su tre grosse scatole ne manca una. Verrà consegnata alla reception della Stazione Leopolda (dove si tiene ormai ogni anno la fiera-festival) solo il giorno dopo la chiusura di tutto il carrozzone.

Ma non tutto riguarda i libri. La nostra disorganizzazione è tale che appena ci presentiamo dall’amico palermitano che ci ha offerto asilo, scopriamo che lui aspettava solo uno di noi. Siamo in tre. Potenzialmente dalle quattro alle cinque persone nella stessa camera, in un appartamento di tre/quattro stanze con una media di 3.4 ospiti, più o meno stabili, per camera e un numero incalcolabile di visitatori giornalieri, scrocconi, fidanzate, aspiranti catecumeni, novizi, iniziati, pentiti e fuoriusciti nostalgici. Ma dove siamo finiti? Eccoci in via Rughettari.

Poi alla fiera va tutto benissimo, direi quasi oltre le nostre aspettative… ma quelle erano state già stravolte dal primo momento, grazie al nostro efficientissimo trasportatore (PPS, credo). Il tempo è meraviglioso, nonostante sia novembre inoltrato, io posso sfoggiare la mia tenuta da testimone di mormon, con la cravattina da impiegato trentennale di mio padre. Giro per gli stand e mi sento a mio agio, come un bambino in una fabbrica di lecca-lecca. La cassa che è venuta a mancare era la stessa che, una volta vuotata, avremmo potuto usare per sistemare comodamente i nostri acquisti. Quindi posso guardare ma non posso comprare. C’erano dentro a quella cassa anche un paio di sacchi a pelo d’emergenza, che non pensavamo affatto di dovere usare, e che ci avrebbero evitato di praticare ascetismo fachiresco per quattro giorni di fila.

Pende in continuum (2006, matita su taccuino, rospe)

Prima di abbandonare Pisa devo ritornare sui Rughettari. In tutto ne incontro quattro/cinque, vegetanti in uno stato di perfetta beota idiozia. Passano le loro giornate o a bere o nella contemplazione estatica delle bottiglie vuotate il giorno prima. I ragazzi di Via Rughettari, sono degli ospiti perfetti, e hanno fatto propri i principi dell’Abbazia di Teléme: fai ciò che vuoi. La regola è stata un po’ adattata ai costumi della contemporaneità, al posto del priore c’è uno che è gli altri chiamano “il capo”. Questo tipo, nella vita vera, quella che sfugge all’anonimato dell’Abbazia dei Rughettari, abita di fronte a :duepunti, a Palermo. È bello pensare che un germe si espande nel mondo, e ha il suo focolaio in questa città (la nostra), in un area di circa un paio di isolati. Forse stiamo contribuendo a rendere il mondo un posto più pericoloso, un mondo in cui puoi imbatterti in uno di noi, anzi in uno di loro.