Questo fine settimana ho dovuto mettere in ordine il mio schedario. Uno prova a posporre, ma oltre un certo punto non si può andare. Finisce sempre così: tutto è fuori posto, ti spezzi la schiena tra torsioni e stiramenti, ti organizzi, trovi un metodo e quando credi davvero di avere terminato, salta fuori qualcosa di inatteso. L’oggetto misterioso. Qualcosa che sembra esserti del tutto sconosciuto, eppure non dovrebbe, dato che è roba tua. Questi riaffioramenti hanno la capacità di rimettere tutto in discussione. La cosa seccante è che comunque hai bruciato un’intera giornata e ormai non c’è più tempo per ricominciare. Ci penso un po’ su: è colpa della memoria, ovvero della precarietà e inadeguatezza dei contenitori per memoria.

 

Dislocazione del mio disordine (rospe 2006)

Quasi tutti ricordano il primo bacio, il primo tradimento, la prima fregatura, e questo è abbastanza comprensibile, anche se ci sono quelli che ne farebbero volentieri a meno. Non a tutti capita di ricordare il preciso momento in cui le cose sono cambiate, hanno acquistato un nuovo significato: semplicemente un attimo prima le vedevamo in un modo e subito dopo erano diverse. Per molti la vita è un continuum indifferenziato. I traumi come i giorni di festa sono trascinati e tenuti insieme dalla stessa corrente, dalla stessa acqua grigia. Ma io penso che non sia così: che la vita sia un’esplosione di schegge, di colori, odori, nomi, cose e città. Frammenti che teniamo insieme come fa un giocoliere inesperto con le sue clavette. Il gioco riesce, ma per poco. Troppo bassa è la soglia della nostra attenzione, e di conseguenza troppo spesso dimentichiamo e quindi non resta che riporre quello che resta – i frantumi – in appositi contenitori.

Forse si tengono i diari perché, almeno per la durata della loro stesura, esista una traccia dei nostri pensieri, delle loro connessioni. I diari sono la conseguenza della nostra attitudine al dimenticare. Sappiamo bene che non torneremo indietro a rileggerli, sappiamo come diventino impenetrabili per noi stessi a distanza di pochi anni. Eppure continuiamo. Ci sono due tipi di persone: quelli che hanno bisogno di un diario per dimenticare, e quelli che non ne hanno bisogno. I primi, quelli che scrivono diari, hanno almeno il conforto di poter imparare qualcosa dagli sbagli e dai successi delle persone che erano. Dentro ogni pagina di diario resta qualcosa di noi, ma si tratta di un frammento solo per pagina.

La pratica del lavoro di redazione mi ha portato a maturare un rapporto speciale con i miei appunti. Un’ossessione, tra le altre. I miei appunti dialogano tra loro, li percorro e li leggo come farebbe il geologo con le stratigrafie. Li organizzo per data e per argomento, soggetto, sottogruppi di interesse, e ancora li sposto, li riassemblo, li smarrisco, proprio come farebbe un perfetto archivista. I miei fogli sfusi hanno sostituito qualsiasi possibile diario. Il compiacimento e la ricercatezza con cui li elaboro rivelano quanto poco importante sia il loro contenuto rispetto alla ritualità della loro stesura. Eppure, non sono loro i contenitori giusti, anche loro contengono solo una parte della mia vita, quella cifrata.

 

Tracce di memorie spaiate nei vicoli di Palermo (rospe 2001)

 
In ultima analisi, i libri sono i ricettacoli, i contenitori di memoria più sensibili, ma allo stesso tempo effimeri e delicati, che io conosca. In qualche modo sono ibridi eccezionali: coesiste in loro sia la memoria altrui, sia la nostra, e infatti è sempre il lettore ad aiutare il libro a scrivere le proprie pagine. C’è chi dice che i libri neanche esistono fino quando non trovano il loro lettore. A volte piace anche a me pensarla così. Possiamo costruire tra le loro pagine noi stessi, la nostra vita, le nostre aspirazioni, il futuro. Possiamo stringere un patto con l’autore, con i personaggi raccontati, con le colline della Spagna, con le piume dell’angelo, con le trincee inebriate di iprite. Ma basta un niente perché tutto il nostro castello si dissolva. Sulle pagine dei libri non resta traccia di quella parte che abbiamo contribuito a creare.