Qualche tempo fa David Frati di Mangialibri ci ha proposto un piccolo questionario sul lavoro dell’editore, è il loro modo per monitorare quello che accade in giro per l’Italia. Divertente, ho pensato: un’intervista a :duepunti edizioni. È capitato altre volte, ma con modalità diverse. Per lo più sui giornali finiscono con lo sbagliare a scrivere il nostro nome. Anche questo a lungo andare è divertente. Perché no, ho pensato. L’idea dell’intervista-questionario mi è sempre piaciuta, forse perché mi ricorda quelle indagini di mercato a cui a volte capita di essere sottoposti. Se state smontando, se avete fretta, se non è proprio giornata, squilla il telefono. Generalmente capita così: «Buon giorno signora: lei ha un cane? Ha dei figli? Acquista regolarmente cibi precotti? Conosce la differenza tra cibi surgelati e semplicemente congelati? Sa cosa significa ogm? Ha mai preso posizione sull’argomento? Cosa pensa dei cinesi? Pensa che costituiscano un pericolo per la sua attività economica? Ha mai pensato di aprirsi ai mercati asiatici?». Qualsiasi risposta riceva l’operatore telefonico, state certi, non sarà presa in alcuna considerazione. Quello che importa è predisporre l’intervistato a comprare il prodotto che viene sponsorizzato. Il prodotto c’è, anche se non viene mai nominato apertamente.

Tra le varie domande del questionario ce n’era una in particolare che ho continuato a macinare fino a stamattina. Anche alla mia risposta ho continuato a pensare.

mangialibri: Quale libro edito da altri avreste tanto voluto pubblicare voi?

rospe: La serie completa degli elenchi telefonici, regione per regione, con gli aggiornamenti annuali. Vasti contenuti, ottima diffusione e un discreto successo.

Forse è meglio spiegare il motivo della mia risposta: la frustrazione di avere scoperto che il libro che ho sempre desiderato pubblicare è già stato abbondantemente pubblicato, anche di recente.



Gioco a carte scoperte. Il libro che da sempre avrei voluto “scrivere” io è Gesprache mit Kafka (Colloqui con Kafka) di Gustav Janouch. Non è tanto per quello che c’è scritto nel libro, ma perché il giovane diciassettenne Janouch ebbe sul serio la possibilità di conoscere Kafka nella sua vita d’ogni giorno. La tanto vituperata biografia fece storcere il naso a Max Brod, che forse giustamente, si riteneva l’unico arbitro in materia. Ricordiamo che l’amico intellettuale è anche il traditore testamentario a cui dobbiamo il salvataggio in extremis di buona parte dell’opera di Kafka. A quella di Janouch seguirono altre biografie poco serie, di gente che aveva frequentato gli stessi ristoranti o che aveva contratto una polizza con la ditta di assicurazioni per cui aveva lavorato l’impiegato Kafka, o anche gente che aveva visto sì e no due volte l’ossuto scrittore, ma che poteva vantare una moglie amica di una delle sue sorelle. Io circa sedicenne ho cominciato a frequentare la casa/tomba di Kafka, i suoi scritti, i suoi diari, le sue lettere. Sì, mi sarebbe piaciuto scrivere – o anche solo pubblicare – un libro che raccontasse di quella cornacchia gentile, di quel vero miracolo che ha scritto in segreto la storia del mondo. Che non è appartenuto a nessuno, neanche a sé stesso e che se l’è portato via il vento.

 
BIBLIOGRAFIA
• Gustav Janouch, Colloqui con Kafka, note di Alma Urs e Ervino Pocar, Martello, Milano 1964
• Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, traduzione di Maria Grazia Galli, Guanda, Parma 1991 (2005)