Da un giorno all’altro decidiamo che la fase “niente definizioni” è superata, allora veniamo presi dall’angoscia di definire tutto. Tutto quello che abbiamo fatto, detto e promesso, adesso deve essere rivisto, riveduto, passato al vaglio della chiarezza. Anzi no. Basta che ci sia una definizione, una parola buttata là in modo provvisorio a designare una cosa che c’era già da prima, ma non si poteva far altro che indicarla se la si voleva tirare in causa. Per prima cosa dobbiamo iniziare da noi stessi. Siamo tre, siamo rimasti in tre, inciampiamo di continuo in questa ovvietà deprimente. Non basta più: dobbiamo definirci. In buona sostanza abbiamo un quasi architetto, uno che suona il basso e tutto quello che gli capita a tiro e un filosofo. Come fare? Proviamo a chiederlo al filosofo. Tempo perso: siamo ancora nella fase transitoria “niente definizioni”, e questo vale anche per il filosofo. Da qualche parte si deve iniziare? E noi decidiamo di iniziare con un gioco. Si può dire che tutto abbia sempre a che fare con un gioco. Ognuno di noi raccoglierà dieci oggetti (reali o immaginari, ove esistesse una differenza sensibile) e li presenterà agli altri. Quei dieci oggetti saranno la nostra dichiarazione programmatica, la nostra carta dei diritti-doveri, una sorta di cartella clinica, la topografia della nostra persona, la nostra certificazione di esistenza in vita. Affascinante, ma dopo avere enunciato lo scopo del gioco – e averne inventato il titolo – ci lasciamo senza avere concluso un bel niente. Tutto inizia sempre con un gioco: qualcuno aggiunge delle regole, qualcun altro le applica e poi all’improvviso arrivano le eccezioni.


Bottiglie, bicchieri e contenitori di fumo (ALC, 1999-2000)


Il decalogo è una lista di comandamenti, limiti che qualcuno ha ritenuto saggio imporre per chiudere il cerchio intorno a sé. Già il numero è un limite che definisce l’uomo che iniziò ad appuntarli su due lastre di pietra levigate, o almeno questo secondo l’inconografia corrente dai tempi d’oro dei sandaloni hollywoodiani ad oggi. Quando penso alla Sacra Bibbia penso a Charlton Heston, forse non c’entra niente, forse stava sulla biga di Ben Hur o era El Cid, o solo l’ultimo uomo che c’avesse ancora voglia di parlare sul Pianeta delle scimmie. Ma che c’aveva da dire? Dove voleva andare? Comunque il primo a scriverne dieci esatti fu Mosè. Si ritirò per i fatti suoi e scrisse i dieci comandamenti: in teoria doveva essere qualcosa di simile a un’intervista con Jhavè. Più probabilmente si allontanò dagli altri disperati mangi-manna solo perché non voleva essere disturbato. Se si ritrovasse il posto esatto, sono sicuro che sarebbe pieno di tavole accartocciate, piene di refusi e di comandamenti alternativi, tipo: il venerdì non si seguono i comandamenti sei e nove. Se piove, non venite a inzaccherarmi i tappeti di casa. Le consulenze matrimoniali si pagano. Gli avvocati non rientrano nella categoria protetta dal numero cinque e non sono il “mio prossimo”. L’esproprio proletario è una gran… Alcuni intimi di Mosé gli chiesero cosa fosse accaduto esattamente durante tutto il tempo che era stato via. Disse: «niente, un cespuglio ha preso fuoco, dio ha tuonato, poi le solite cose… insomma il finale non ve lo racconto, se avete un po’ di pazienza vi comprate il libro».

Ritorniamo alla prima volta che ci siamo riuniti, anzi che abbiamo capito che quella era un riunione. C’erano delle parole, delle foto, anzi no, dei frammenti, dei brandelli di foto strappate (tutte prese da riviste patinate del tipo che ti vengono cacciate a forza sotto il braccio quando proprio ti scappa di comprare il giornale). Tra tutte le parole ne è saltata fuori una: blu. :duepunti è nato blu. Questo è ancora oggi il manifesto di :duepunti. :duepunti è blu. Poi è venuto fuori: “niente definizioni”. In quel momento eravamo in quattro, eravamo nella cucina di GS e il bollitore ha preso a fischiare.

I miei cari soci danno un’interpretazione diversa dalla mia in merito alla storia dei dieci oggetti, tant’è che per anni abbiamo ciclicamente litigato sul senso originario di questa trovata. Da allora sono sempre rimasto convinto che la ragione stesse dalla mia parte. Tra di noi questa è una posizione indifendibile: tutti c’abbiamo sempre ragione, a gruppi di uno, due o nessuno degli aventi diritto ad avere un’opinione.


Oggetto metallico che taglia (rospe 2002)


I comandamenti sono dieci, come le dita delle mani, se siete tanto fortunati da non essere incappati in una di quelle malattie genetiche per cui nascete con tre dita soltanto, o non siete stati distratti quella mattina al tornio, è relativamente facile tenerli a mente.

Il progetto di accumulazione per me è sempre stato un gioco irresistibile, pur non essendo un collezionista posseggo intere raccolte di oggetti perfettamente inutili che mi tengono compagnia. Ci sono le scatole vuote dei pastelli, dalle elementari alle superiori, miei e di tutti i miei fratelli. Ci sono i matitatoi, miei e trafugati, di tutti i colori e per un ammontare approssimativo di una decina di euro. Ci sono gli oggetti di metallo, ovvero le parti di oggetti che ho raccolto nel tempo, con la malsana idea di ricomporli prima o poi in un oggetto più grande e totalmente sorprendente: tutto di metallo, questa dovrebbe essere la sua unica caratteristica. Ci sono imprecisate decine di migliaia di scontrini, che si sono solidificati insieme a causa della semplice pressione o in virtù dell’eccessiva umidità della mia camera. Ci sono i libri, che raccolgo strada facendo, di anno in anno, e che forse non saranno mai una biblioteca, ma resteranno tanti oggetti simili tra di loro, eppure ognuno distinto dall’altro.

Il decalogo è anche una sceneggiatura bellissima, da cui uno dei due autori ha tratto un film, fatto di dieci piccole parti. Io preferisco il libro.

Dopo un po’ che esisteva il mio elenco di oggetti GS se n’è uscito con un’idea assurda e bellissima. I suoi dieci oggetti non sarebbero stati reali, ovvero sarebbero stati soltanto le immagini riflesse in uno specchio. Immagini riflesse di oggetti esistenti, ma inutili, perché l’immagine riflessa di una caffettiera non è un caffettiera. AC girò intorno alla questione a lungo, forse anni, poi un giorno c’erano delle foto in bianco e nero che facevano capolino in mezzo alle altre carte. Le sue foto sono diventate il luogo in cui si sono incarnati i silenzi di :duepunti. I nostri silenzi e la loro inconsistenza corporea, questa è la presentazione di due terzi di noi. Io avevo un elenco. Io ero quello che sin dalla prima volta in cui se n’era parlato, aveva creduto di avere capito tutto.

Inconsistenza e ineffabilità, questa è la mia personale visione della legge. Un decalogo appare quando si vuole dare una forma alla legge. Anzi il decalogo è l’illusione che la legge esista, che abbia qualcosa di corporeo. In realtà tutte le leggi sono soltanto specchietti per le allodole. Tu non uccidi il vicino? E nel frattempo io posso spedirti in giro per crociate. Tu paghi le tasse? E io progetto ponti di traverso allo stretto. Le leggi devono essere scabre, più sei oscuro, più sono pure. Le leggi sono la cosa più vicina al primo recinto sacro che un tale decise di tirare su, per evitare che di notte le pecore scappassero attraverso i campi dei vicini. Anche la storia dei lupi e degli sciacalli è tutta una favola. Lo scrittore che meglio ha saputo raccontare queste favole è Franz Kafka. Mi ripeto volentieri: Franz Kafka è il luogo immaginario della legge, per lo meno io la vedo così.


:duepunti patetica trasfigurazione agonistica (foto di repertorio XX secolo, all'incirca)


A un certo punto s’è deciso che era venuto il momento di farla finita con la fase “niente definizioni”. Forse ricorderò male, ma si trattava di un periodo di convalescenza, si era ancora smarriti, disorientati, dopo avere fatto tantissime cose in pochissimo tempo. Era successo che per strada avevamo perso uno di noi: il quarto. Non ne parliamo mai, ovvero, esistono delle storie ufficiali per tranquillizzarci sulle dinamiche dell’accaduto e poi esistono dei rimorsi ricorrenti nella vita di ognuno di noi, che per timore o pudore, teniamo da parte per le occasioni speciali. Per un periodo lunghissimo siamo stati in apnea. Abbiamo speso tutto quello che avevamo e che volevamo concederci. Appena abbiamo ripreso a respirare ci è piovuta addosso una grande stanchezza. È stato in quel momento che per la prima volta non sapevamo più cosa aspettarci dal nostro gruppo. E abbiamo deciso che era meglio ricominciare con un gioco. Temo di essere stato io a proporlo. Verrò quasi certamente smentito.


C O R R E L A T I (di nessuna utilità / link rotti)
 

Prendi 10 cose, se vuoi puoi nasconderle