ovvero, come si diventa glossatori oggi

La blogosfera viene sondata da spie robot: incessantemente, bit dopo bit, nodo dopo nodo, senza una meta precisa, come se il tempo non esistesse… e quindi senza paura di perderne a carrettate.
Imparando da loro (o meglio, dalla loro costanza), di tanto in tanto, appunto frammenti di un discorso articolato, provvisorio e incerto, che non appartiene più a un solo autore. Siamo tutti glossatori (e questo senza nulla togliere a chi ha aggiunto del proprio o suggerito altrui).

La pratica del glossare (aggiungere note, commenti, revisioni, rimandi, aggiornamenti) è radicata nel concetto stesso di cultura. Casi lampanti vengono da lontanissimo. Se guardate le pitture parietali paleolitiche incappate quasi certamente in qualcosa di simile: un quadrupede che è diventato un “liocorno” per il semplice fatto che qualcuno ha aggiunto una mucca, mischiando linee, confondendo archeologi e dando il via ad un bestiario fantastico (involontario). Le nostre quinte urbane sono popolate da palinsesti graffitari in cui la spesso greve ironia produce polisenso.

In un’epoca in cui l’informazione è corruzione/trasformazione continua, la spia che è in noi si deve contrapporre alle spie della rete (i robot casualistici), cercando di intrecciare sempre nuove connessioni. Così le nostre personali – e fuorvianti – glosse, senza l’ambizione di sostituirsi ai criptici glifi preistorici, avranno un senso compiuto: ovvero che ogni acquisizione del pensiero è sempre provvisoria, incerta e in attesa di ricollocazione. Questo potrebbe essere un valido placebo contro l’ansia da “algoritmo” o solo una accelerazione del processo babelico, che, come ammonisce la freccia del tempo, ci porterà all’estinzione.

La cabala delle permutazioni, tanto cara agli entusiasti del complotto, non produce chiarezza, il “disegno intelligente” è spesso una macchinazione cervellotica (vedi Il Pendolo di Foucault di Eco), ma nella maggioranza dei casi, più che brillante è demenziale. Eppure questo agglomerato di accostamenti, rimescolamenti e annessioni è in grado di regalare sporadiche illuminazioni. La serietà del glossatore (e la sua perversione) sta appunto nello sceverare, e nel “metodo” c’è quel piccolo contributo individuale che ci permette di dire che il concetto di copyright è davvero obsoleto.

L’ultimo piacevole incidente che ho registrato è stato imbattermi in un conciso post di Giuseppe Granieri (bookcafe.net), in cui brevi suggerimenti di lettura sono molto più che un semplice invito all’approfondimento. Un esempio di come si possa glossare la rete senza “aggiungere”. E i post che non ha scritto sono i testi che, inopportunamente, sto glossando così.


UNA SUGGESTIONE

«Sempre in tema di algoritmi, Jess Zimmerman – sul Guardian – racconta di come le ricerche siano monitorate da Tumblr. E nota che, in caso di persistenti ricerche su termini che potrebbero essere segnali di allarme («anoressia», «suicidio» ecc.) la piattaforma ti chieda se va davvero tutto bene e se hai bisogno di aiuto.
È sicuramente un esempio di utilizzo virtuoso, ma Jess poi pone – anche lei – più di qualche domanda sul quanto e sul come gli algoritmi debbano entrare nelle nostre vite».

da Giuseppe Granieri | Algoritmofobia (e altri post che non ho scritto)
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