Qualche tempo fa mi è capitata una di quelle cose che se poi ti viene voglia di raccontarla nessuno ti crede. Da quando ho cominciato a lavorare in questo settore spesso, a quello che mi capita, non ci credo neanch’io.Sto spulciando tra i libri di un bancarellone ad una fiera minore [quella dei “piccoli”, per intenderci]. È pomeriggio, c’è ancora caldo e non dovrebbe, c’è troppa luce e siamo in una specie di serra, quindi la luce si trasforma in calore e l’umidità in vapore. Le copertine dei libri gemono come ali di coleottero, si inarcano e non si chiudono più. L’aria è ferma e sa di disinfettante da fioriera. Mi aspetto che da un momento all’altro intorno a me comincino a cadere stecchiti editori come mosche. Anch’io sono un editore, e il pensiero di cadere stecchito da un momento all’altro non mi fa particolarmente piacere. Sono in perlustrazione per vedere cosa fanno gli altri piccoli e medi editori come noi. Molte cose, ma non mi interessano a sufficienza da vincere quella specie di avversione che mi porta a tenermi alla larga dai libri bolliti. Anche le signorine dietro i banconi sono bollite. Alcune. Non tutte, ma la maggior parte irrimediabilmente. Avevo dato un appuntamento a GS. Sarebbe l’ora, ma siamo abbastanza allenati ai reciproci bidoni, o almeno così credo, dal momento che ho abbondantemente fatto la mia parte, almeno in questo. È l’ora, ma non sono più sicuro di cosa stesse a significare “assolutissimamente per le 18”. Nel dubbio continuo a sfuggire alle signorine bollite che mi vedono attento scrutatore di copertine e non sanno che in realtà sto cercando di scoprire imperfezioni nella legatura, errori di fuori registro, o per lo meno un segno di intelligenza sfuggito alla revisione dei soliti macellai. Niente di interessante. Gli unici libri che mi piacciono sono quelli che fanno i nostri tipografi. Bella forza: sono bravi, ma bravi davvero.Il giorno che aprendo il pacco delle novità, mi sono trovato davanti ad un libro cucito sul taglio (ossia esattamente come non dovrebbe) non ho pensato che i nostri tipografi fossero così tanto eccezionali. Ma poi mi ha fatto notare un amico, che anche in quell’unica copia fallata (Jacques Vaché, Lettere di guerra, collana terrain vague 2005) c’era qualcosa di geniale. I libri vanno fatti con intelligenza. I tipografi per lo più non ci mettono neanche l’arte, figuriamoci l’anima.


Il mio primo libro (:duepunti 2004)


Ritorno al bancarellone. Sono sempre le 18 passate e ormai GS avrà capito che mi sono dimenticato dell’appuntamento o che ne ho unilateralmente ricontrattato i termini. I libri che ho sotto mano mi piacciono. Questa volta li sfoglio. Provo piacere, mi danno l’impressione di essere docili, eleganti, precisi. Ecco, si tratta di questo: sono fatti con precisione. Chi fa i libri in questo modo lavora come l’artigiano. L’artigiano nella mia visone un po’ romanzata della deontologia è un folle, un folle fuori dal tempo e che si riconosce soltanto nel suo spazio, nell’esercizio della sua arte. L’artigiano usa le mani anche per pensare. Io sfoglio questi libri e le mie mani mi restituiscono tutto quello che serve. Posso parlare di quei libri, non ho neanche bisogno di leggerli. Mi sono familiari, e non mi respingono.

«Belli, no? E si capisce che lei se ne intende. Questi librini che vede qui davanti, i nostri soldatini, le nostre pedine di dama, prima erano pochi e nessuno li voleva. Adesso sono cresciuti: sono un esercito senza armi, portano ovunque una guerra di idee che non lascia morti o feriti, eppure sono tanti quelli che vengono colpiti. Ma non ci crederebbe se le raccontassi cosa vuol dire scegliere di fare libri così e non in quell’altra maniera… Ma a noi non interessa. I libri, dico, mica sono quelli lì. Gli unici libri che riusciremmo a fare sono questi. Ci costa, ma abbiamo le nostre soddisfazioni, e se vogliamo ancora farne di nuovi è anche perché i nostri tipografi la pensano alla stessa maniera. Dicono tutti che sono tempi difficili, che la guerra dei fatturati taglia le gambe ai più piccoli, che non possono andare in libreria perché non si possono permette di stare al passo con gli indici di rotazione di Quello e Quell’altro. È vero, dico io, ma poi provi a prendere tra le mani uno di quei cosi. Mi dica, mi dica… Quello è un libro?».

Poi arriva GS che mi dice che è scoppiato un casino, che al buffet freddo per gli addetti ai lavori stanno spolverando tutto. Saluto prendo un libro qualsiasi, pago, scappo via. Quando ci riuniamo con ALC è troppo tardi: ha preso l’aperitivo anche per noi e ora è allegro senza motivo. Da bere per noi solo limonata, calda. Sfoglio il librino. Piccolo inventario degli specchi. L’ha stampato il nostro tipografo. Sorseggio la limonata aspra, che sa di piscio, con un cauto ottimismo.


postilla [circa 7 anni dopo]
Non capisco proprio perché quando ho iniziato a tenere questi collaudi mi compiacessi nel rendere i miei ricordi praticamente inaccessibili, costellando queste pagine di errori casuali e voluti, come traslitterazioni imprecise e storpiature irrispettose… non ho perso il vizio. In questo caso mi spiacerebbe non recuperare almeno in parte rivelando i due “ospiti“ , che nel tempo, sono stati davvero tra i compagni di strada a cui più e meglio mi sono radicato, nell’affetto, nella stima e nel rispetto: Stampa Alternativa, l’editore (la conversazione è avvenuta con M.B.), Graffiti, la tipografia (oggi non più attiva con questo nome, ma resta immutato lo spirito che anima la famiglia Iacobelli, editori e tipografi).