A volte capita di avere la battuta giusta. Sì è giusta, funziona in tutte le sue parti, e sapreste anche come farla uscire, lasciarla scivolare tra un colpo di tosse e un piccolo tic, ovviamente studiato. Lo sapete che è giusta, ma magari non viene il momento giusto. E allora si aspetta. Come i cacciatori più cocciuti, ve ne state in attesa, con il fucile spianato. Lo sapete, a volte non serve. Così è per alcuni, tanti. Poi ce ne sono degli altri, altri come me, che una discreta imprudenza, una predisposizione naturale al nonsense, ha reso in un certo senso popolari. Prendiamo La patente di Luigi Pirandello (magari non tutti ricordano di avere sfarfallato proprio con quel libro lì, ma di Totò vestito da iettatore si ricordano tutti). Ecco, un tale che vuole trasformare la nomea di iettatore in una specie di riconoscimento ufficiale, un brevetto per i più diversi usi. Più semplicemente io nel tempo ho finito con il rendere proverbiale la mia tendenza alla gaffe, lasciando che mi preceda in ogni occasione. Devo dire che questo piccolo accorgimento sociale mi ha reso in più di un’occasione servizi migliori di quelli attesi dalla patente di Pirandello.Tra pochi giorni il mio caro amico regista (Rosario Tedesco) porterà sulle scene un testo davvero difficile, difficile perché dice cose difficili da mandare giù, ma anche da ripetere a voce alta. Un testo difficile in Italia. C’hanno già provato con esiti catastrofici negli anni Sessanta, in quell’occasione il regista era Cecchi e sulla scena c’era Gian Maria Volontè, giovane. Da non crederci, quelli erano tempi davvero speciali. Una sola rappresentazione, poi censura, querele e quasi una scomunica. Scomunica che ancora aleggia su Il Vicario di Rolf Hochhuth. Basta leggere le colonne del «Corriere della Sera» (10 maggio 2007), da cui traspare più che interesse preoccupazione che possa saltare nuovamente tutto per aria. Questo è il coraggio, quella cosa strana con cui alcune persone devono fare i conti tutti i giorni della propria vita. Se il teatro non ha coraggio non vale neanche la pena di indossare una calza maglia e rendersi ridicoli per trequarti d’ora buoni su un tavolato traballante, davanti a gente che forse dorme, forse sonnecchia, forse sta cercando di scambiare sms con quelli che sono rimasti a casa a guardare la partita.


Il Vicario, locandina (rospe, 2007)


Nel dire ovvietà a sproposito, o concedersi il lusso di dire esattamente la cosa giusta, ma quando nessuno se l’aspetta, ho fatto la mia pratica quotidiana di coraggio. A dire il vero si tratta di una forma attutita di coraggio, forse un po’ troppo studiata, e talvolta anche impercettibile per la stragrande maggioranza dell’uditorio. Ma è la mia forma di resistenza, che alcuni stimano solo imprudenza, altri ancora spirito macabro. Assolutamente politically uncorrect. Odio questa espressione e ciò che sottintende: ossia un completo infiacchimento del grottesco. Il re è nudo… e basta. Il Vicario, in buona sostanza, gira intorno a una domanda: la Chiesa sapeva? Dello sterminio, dei lager, della deportazione. E se sapeva… com’è stato possibile il silenzio?


Marco Foschi e Rosario Tedesco, durante le prove (Massimo D'Aleo, 2007)


Si è ripreso a parlare di Papa Pacelli, ma non per chiedere di rendere pubbliche le sue carte, gli archivi vaticani ecc. Si parla dei tempi della sua beatificazione, si prepara una casella nella prossima edizione del calendario. Starà tra San Benedetto da Norcia e San Ipazio? A quale santo farà le scarpe per poter finire sul calendario? A chi toccherà di chiamarsi Pio, solo per colpa di San Pio XII e di una madornale mancanza di fantasia di una coppia di genitori indecisi fino all’ultimo? Io conosco esattamente il motivo per cui la Bellucci è finita sul calendario del gommista sotto casa. Ma Pio ics-i-i, ha davvero tutta questa urgenza di finire su un calendario? Sarà come dovrà essere, nel frattempo da :duepunti si usano solo planning vuoti, quelli senza i giorni, senza i mesi, senza i santi, che vanno bene comunque.


Un calendario che ingoro (rospe, 2007)

 

 

 

 

 

 

 


Il Vicario parla anche di un’altra cosa: parla delle responsabilità, quelle che inchiodano. Quelle piccole e grandi responsabilità che fanno gli uomini che stanno dentro le divise. Adesso non mi interessa raccontare quello che accade nel libro, mi sembra più interessante testimoniare del lavoro di un pugno di giovani attori che si è riunito intorno a un libro proibito (si fa per dire… il pericolo di una scomunica è solo “potenziale”), che ha creduto nell’opportunità di essere testardi, curiosi e sgomenti. Trasportare tutto questo su un palco mi sembra abbastanza folle da meritare il mio apprezzamento. Quello che fanno è salire su un tavolaccio malmesso con addosso una calzamaglia troppo stretta, biascicare parole non loro e lasciare che il miracolo si avveri ancora. Credo davvero che il dio si manifesti attraverso i folli, i bambini e gli attori. Quel dio che non ha preti, non ha comandamenti, che appare e scompare e non sai se tornerà, ma che se c’è lo senti. Magari poi c’è e non lo senti, ma sei tu a perderci in questo caso. La verità non è mai una sola, non è mai quella che sta sulle carte processuali, non è mai quella accanto alla parola “fine”, e di certo non si protegge con il silenzio. State più attenti quando parlano i folli, i bambini e gli attori.


Si guardano mentre fanno un girotondo senza senso (rospe, 2007)


Adesso devo spiegare perché l’uomo non è una banana. Lo confesso, si tratta di una citazione, una di quelle davvero buone, una di quelle che annoti su un foglietto di carta e speri che venga, davvero, il momento giusto. Generalmente finisce che quel momento non viene e se per caso passa da quelle parti… ti sei già perso il foglietto da un’eternità.

«L’uomo non è come la banana, frutto senza nocciolo:
il suo corpo contiene un’anima immortale».

(massima buddista riportata in Jean Vernette, L’aldilà, Editori Riuniti, Roma 1999; trad. it. Marina Minucci)

NOTIZIE UTILI SE VI INTERESSANO
Il Vicario di Rolf Hochhuth
progetto e lettura:
Matteo Caccia Marco Foschi Enrico Roccaforte Cinzia Spanò Nicola Stravalaci Rosario Tedesco

coordinamento: Cinzia Spanò
adattamento e regia: Rosario Tedesco

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