Non so proprio come mai mi sia venuto in mente di scrivere di un certo tipo… di uno di quelli che popola le gustose e spesso colorite storielle editoriali. Forse perché ho già parlato di “stagiste” e di “librai”, forse perché il tempo lavora come una lima, forse perché più ci ripenso e più mi sembra che quel tipo lì, più che proverbiale, è endemico nel nostro giardinetto fiorito (e forse non sono il solo a poter dire «eio che mi pensavo…»).


 
• Georges-Pierre Seurat, preparatorio

Prendo la cosa alla lontana. A un certo punto tutti quelli che si affannano a fare libri si pongono la domanda: “E dei libri cosa ce ne facciamo?”. Si prova a venderli, e dopo aver esaurito le risorse famigliari e il circondario, si ragiona sulla possibilità di avere un bacino di utenti più ampio, magari raggiungere le province limitrofe e poi casa per casa, rastrellando lettori inconsapevoli, arrivare a invadere le grandi arterie extraregionali. L’idea l’hanno avuta per primi quegli editori che con spirito golpista e guerrigliero hanno preso il controllo delle radioemittenti, delle redazioni di quotidiani e rotocalchi, delle tv, poi degli aeroporti e delle ferrovie, fino a sbaragliare le stazioni di servizio. Seguendo il manuale d’istruzione del famoso gioco per terroristi internazionali (di cui non faccio il nome in quanto tutelato dalle rigide norme sul copyright), occupate le prime caselle non si sono fatti scrupolo nel convergere risoluti sull’ultima frontiera, i grandi magazzini, ritagliandosi uno spazio tra scatolette di tonno in offerta, assorbenti per signore e signori, e detersivi anticalcare. “Ecco dove piazzeremo i nostri libri”.

Quando ci presentiamo al box informazioni la signorina vestita da hostess di una nota Linea aerea nostrana (anche qui copyright) ci spiega gentilmente che per il momento alla XXX (nessun vincolo di copyright… ma la catena ha chiuso per infiltrazioni mafiose e non ricordo il nome) sono impegnati nella promozione del 3×2 di una nuova variante della miscela arabica di una bibita liberamente ispirata al caffè (che ha però ben altre proprietà) – “Magari tra qualche mese riprovate” – segue dimostrazione nei pressi del bancone prodotti tipici regionali. La bibita produce in me un irrefrenabile desiderio di invadere la Kamchatka (stato immaginario presente soltanto nello scacchiere di un noto gioco di società soggetto a vincoli di copyright). Lo sconforto è subito ridimensionato quando un amico di vecchia data, libraio ed estimatore della nostra proposta culturale (abbiamo al momento un solo titolo in catalogo), ci informa che ci sono pure le librerie… dove si potrebbe provare a fare qualcosa… Accogliamo la proposta del buontempone con una salva di scroscianti pacche che fioccano alla cieca da tutte le parti. “Seee?” [che nel ruminante idioletto del luogo suona un po’ come una simpatica canzonatura]. Ma non siamo sordi alle vere intenzioni del nostro amico: ci vuole buon umore. Incrollabile buon umore, per questo mestiere.

Abboccano… (2003, rospe)

Riprendiamo con maggiore slancio: a questo punto diamo il via a una serie di illuminanti colloqui con gli esperti del settore. Il nostro amico libraio (che a dire il vero rifiuta e ci sbatte il telefono in faccia); il vecchio ex-editore (alticcio e azzimato, che però è deprimente e molliamo quando cominciamo a capire che tira a farci pagare il conto del bar); il consulente fiscale (che risponde tempestandoci di cazzotti prima che si sia formulata una precisa domanda); il sedicente agente di commercio (in cerca di ricollocamento professionale dopo una lunga serie di rovesci) ecc. Al termine dell’inchiesta, avendo dato fondo a tutte le risorse dobbiamo nostro malgarado ricorrere allo strascassapalle sotuttoio… l’amico libraio di prima, che finalmente s’è calmato e non minaccia più di rivolgersi alla Polizia. “E quindi? Che ci facciamo con i libri?”. Abbiamo capito, di venderli non se ne parla, ma potremmo almeno farli girare un po’, tanto per consumarne le copertine.

“Ma il distributore ce l’avete?”. Finalmente esce qualcosa… perché la domanda, giunta dopo l’ennesimo tiramolla e qualche scapaccione d’incoraggiamento, giunge a fagiuolo. “Cazzo, sì!”. Anzi a dire il vero di distributori ne abbiamo praticamente uno per regione (con la singolare eccezione lombarda, che in fondo non sembra essere poi tanto grave dal momento che possiamo vantare un distributore che cura i nostri interessi internazionali e che… alla fine di 3 anni buoni di servizi ci renderà su i trentaeuro… meno affrancature varie).
“Sì, sì, ma il promotore ce l’avete?”. Ed ecco che spunta. Ecco il nostro tipo. Ecco che tornano buone tutte le strane e contraddittorie leggende, apprese un po’ qui un po’ là, su quest’altro tipo del mercato editoriale. Il promotore. “Ma… tanto per parlare: che fa esattamente?”. “Come?, ma il promotore fa tutto lui… nel bene e nel male fa tutto lui, ma sapete di che parlo?”. “Be’, sì, certo… effettivamente abbiamo preso un paio di contatti, ci siamo guardati in giro… (Lunga pausa, ci guardiamo negli occhi). S’è fatto tardi: togliti da piedi!”. Mettiamo alla porta il nostro ospite, strattonandolo ancora un po’: che mattacchione, si divincola e si getta giù per le scale, finge di essere inseguito e quando arriva all’angolo della strada ci fa così con la mano [il gesto è quello detto “dell’ombrello”, e dalle nostre parti sta a significare che potrebbe piovere anche se la cosa è piuttosto rara]. Ci attacchiamo al telefono e cominciamo a comporre numeri a casaccio. Non che la storia del promotore ci abbia davvero convinto… mica ne siamo sicuri che ci serva sul serio. Noi a dire il vero c’abbiamo la rete di distribuzione-promozione (a macchia di leopardo), che copre fino all’internazionale (con l’eccezione lombarda), e in teoria c’abbiamo un mucchio di promotori e agenti che fanno tutto loro… ma tanto per non dare soddisfazione al nostro amico continuiamo a fare numeri… a casaccio.

 

• Georges-Pierre Seurat, Crico

Sarebbe lungo raccontare gli anni successivi, i tanto faticati libri che arrivano e con loro un piano editoriale, proiezioni economiche, divisione del lavoro, specializzazione dei compiti, traduzioni, selezione titoli, ricerca, letture, contratti, ripartenze ecc. A forza di telefonate viene pure il momento di incontrarlo questo tipo qui, e siamo pronti, o almeno motivati e con una valigia stracolma di grafici, schede per i librai, copertine e recensioni entusiastiche e lusinghiere. [Sia chiaro: questa non è proprio una ricostruzione fedele di come sono andate le cose, è quasi tutta letteratura, anzi, il malcelato desiderio di aumentare il numero di storielle (trite e farcite di luoghi comuni) che tanto piacciono a quelli che fanno libri e che, da qualche tempo, sembrano animare il disgustato interesse anche di quegli altri che li leggono o li scrivono (e poi li vorrebbero vedere pubblicati)].
Il nostro tipo, facciamo che sia sovrappeso, sudaticcio e simpatico oltre il tollerabile, alto, a suo modo elegante, attorniato da specialisti competenti (direttore della rete, responsabile marketing, consulente per la saggistica ecc.) che stanno in silenzio e aspettano compiaciuti di poter dare il loro contributo (ovviamente una stroncatura), e poi c’è Sarina che tallona il nostro tipo, segretaria simpatica, efficiente e con un cellulare squillante in mano (durante i 15 minuti del nostro primo incontro non smette mai di squillare). La cosa è stata preparata per mesi, ma con il tipo ho avuto modo di scambiare sì e no due parole… e adesso capisco perché: è colpa del cellulare. La segretaria sembra doverlo imboccare come si fa con un bebè, questo recalcitra ma finisce immancabilmente con il dare una bella poppata, che termina tutte le volte con un “ma di questo parlatene con la Sarina”… che suona più o meno come un ruttino. Comunque va tutto sorprendentemente bene. “Per il contratto ci rivediamo a Roma… ma di questo parlatene con Sarina”.

Capretto, macabro (2005, rospe)

Con questo tipo qui non si può parlare, si flirta, anzi si è sottoposti a un interminabile corteggiamento. E ogni tanto ci si incazza pure, ma quasi per finta, perché se l’offendi ci resta male. “E no, be’, a me si può dire tutto perché sono un pezzo di pane, però questo no… io so’ uno che – con tutto il rispetto per le signore (ma non ci sono signore… ad eccezione di Sarina) – s’è fa un buco del culo così, dalla mattina alla sera, e se spacca pure per voi altri ingrati”. Allora si deve ricorre all’intermediazione di Sarina… “Dovete capirlo, non è cattivo… è la congiuntura. Sapete in questo momento c’ha la testa piena di pensieri… ma a voi v’ha preso in simpatia”. E poi è di nuovo tutto come prima, anzi meglio di prima. “A raga’, questa è la volta buona, si svolta! Ma… dobbiamo andarci cauti… che le buone intenzioni non pagano”. E quindi? “…di questo parlatene con Sarina”.

È chiaro che il contratto l’abbiamo letto e firmato. È evidentemente che le cose non sono andate per il verso giusto e alla fine… avvocati ecc. È ovvio. E nonostante livori e qualche strascico potrei anche chiuderla qui (oppure dovrei esporre carte, bolle, fatture ecc. e non sarebbe né divertente né particolarmente opportuno, e potete immaginare da soli). Ma di un certo tipo di squaletti, di questo tipo qui, è popolato il nostro mondo, e di loro sembra quasi non se possa fare a meno… anche solo per alimentare le leggende che fioriscono di continuo. Su questo tipo, nelle sue tante varianti caratteriali e fisiognomiche, si potrebbe riempire un bestiario intero, ma resterebbe lettera morta, perché il loro fascino, le loro promesse, il loro appetito sono, appunto, proverbiali e alla fine ci stanno anche simpatici. Ma perché l’editoria italiana non sa fare a meno di loro? Ve lo sarete chiesti anche voi. Perché in fondo, questo mondo, è per lo più un carrozzone di guitti spaventati che, se non vogliono scrivere un copione nuovo, non sanno neanche rinunciare al vecchio canovaccio.

Eppure i giornali ci informano che la fine del mondo ha avuto inizio. Probabilmente non sarà proprio la fine-fine quella a cui assisteremo nei prossimi mesi, eppure le cose stanno già cambiando. Finalmente potremo avere le condizioni adatte per dismettere un certo tipo di maschera da commedia dell’arte: in fondo, la crisi economica non risparmia nessuno e di spavaldi filibustieri non se ne vedono di nuovi all’orizzonte, gli altri si sono un po’ smagriti, rabbuiati, invecchiati (ma restano bene o male sempre i soliti). Forse la mia è un’impressione, forse fantascienza, ma… se cominciassero davvero a sparire dalla circolazione certi tipi, certi cialtroni, se il malcontento per distributori e promotori iniziasse a somigliare a una sommossa generalizzata invece di restare la solita geremiade inconcludente, che ne sarebbe del nostro mondo? Non so, o meglio, ad essere sincero una mezza idea ce l’ho: l’editoria italiana – questo mondo qui, che se non sembra il migliore di quelli possibili sembra comunque l’unico che ci si sappia immaginare – non sa riscrivere le proprie regole, inventarsi il proprio mestiere, ha animo parassitario, trasformista, involutivo, resistente e impestante, nel migliore dei casi libertario, in rare eccezioni decadente e imbevuto di compiacimento per la visione della propria “bella morte”… al rallentatore, in poche parole resterà tutto com’è. E questo vale per Grandi e per piccoli.


 

…è quello che sembra (2011, rospe)

Ma forse mi sbaglio. Nel dubbio ho raccolto alcune tracce millenaristiche che circolano nell’aria: la nuova legge sul prezzo del libro, è una leggina senza prospettive (di una norma generale per il rilancio del libro e della lettura ancora niente all’orizzonte); T/Q riflette sulla nostra generazione (ma per il momento sembra farlo dall’interno e verso l’interno); i librai indipendenti oscillano tra la tentazione di chiudere e quella di convertirsi (per diventare cosa? alcuni lo sanno e val la pena di confidare in loro); i lettori si fanno i conti in tasca ma non tutti sanno quello che hanno comprato (e perché); gli editori si lagnano (più che un vizio una costante); i libri evolvono in e-libri (ciò porterà molti editori a farsi e-editori, e alla fine sempre più lettori saranno obbligati a diventare e-lettori); gli aspiranti esordienti si moltiplicano e reclamano diritti (e sono pronti a pagare: vivvaddio!). Tutti aspettano di essere salvati, tutti sono in prima linea, tutti sono paralizzati, sotto choc, come davanti alla tv in attesa della premiazione di un popolare festival canoro, e alla fine… l’unico che sapeva raccontare balle fiorite, sventolare cifre vagamente incoraggianti, accampare scuse iperboliche per i fallimenti e promettere “la svolta”, resta proprio quel tipo là: lo rimpiangeremo?


• Henri de Toulouse-Lautrec, Al circo

ps. preciso che MAI abbiamo torto un solo capello a un libraio, indipendente o meno che fosse, amico anzichenò.