La terra trema. Giorni pericolosi. Tutti rischiano di finire seppelliti. Temo per la mia stessa incolumità: le banalità, una montagna di banalità e spazzatura. Quest’ultima è l’elemento naturale da cui sembrano nascere e rigenerarsi gli sciacalli. Già pronto un nuovo spot in cui una voce ammiccante – ma commossa – lascerà intendere che le macerie sono come la spazzatura: «Possiamo sconfiggere anche questa roba qui». Campania / “munnizza” (quasi)uguale Abruzzo / “macerie”. Comincio a soffocare, soffoco.
In questi giorni mi occupo di letture futuriste (siciliane), quindi di città rase al suolo da martellanti risate metalliche e da forze seduttive e devastatrici che si rianimano (Etna, Scilla, Cariddi, Stromboli) e ribollendo stravolgono, investono, distruggono… e tutti stanno in attesa dell’avvento del nuovo che per darsi una giustificazione ha bisogno di presentarsi con una grande deflagrazione, una catastrofe, fuochi, fuochi d’artificio. Letteratura. In altri giorni mi avrebbero dato un po’ di piacere in più queste pagine sciocchine. Per lo più monellerie. Soffoco… no, sbadiglio.

Quella palla di Quaroni (rospe, Gibellina 1994)


Si contano i morti, anzi ci si prepara alla loro esposizione: oltre una certa soglia anche il dolore diventa tale da non essere più tollerabile. Dopo una certa soglia non si riesce più a tollerare i buoni sentimenti, le parole ispirate, le lamentazioni postume, le promesse ecc. Soffoco. Duecentonovanta vittime… o qualcosa del genere: perché non trecento? Cifra tonda fa più effetto. O forse no? Forse fa più effetto la ruvida nudità di una cifra insensata, frutto di casualità, di inefficienza, di sciatteria. Quando si contano le vittime… i conti non tornano mai. Rifiutare ogni estetica della contemplazione.
L’ultima volta che ho avvertito un terremoto mi ha sorpreso in casa, nel mio letto, nel cuore della notte. La prima cosa che ho sentito è stato Stevenson, poi Shakespeare… l’Amelto, le commedie e via di seguito, fino all’Otello. Solo dopo che l’intero scaffale mi si è riversato addosso ho capito che il mondo fuori dalla mia stanza s’era messo a ruggire. L’esperienza di un terremoto è intima e collettiva. Non sei solo… e non lo sei mai stato tanto. Era il settembre del 2002… e notte dopo notte, anche quando le pareti di casa hanno smesso di ondeggiare ed era quasi certo che quell’esperienza sarebbe diventata un ricordo, nel mio letto continuavo a tremare. A certe cose ti riesci ad abituare, col tempo.

Sempre quella palla di Quaroni (rospe, Gibellina 1994)


Mi ero ripromesso di non trarre ispirazione dalle pagine dei necrologi. Ma questa è l’Italia, e io vivo a Palermo. D’altro canto questi appunti sono nati con lo scopo di effettuare un collaudo ai miei pensieri più disparati. Non vedo il motivo di concedermi censure. Dunque azzardo nuove associazioni. Che cosa viene dopo? Sì, perché dopo ogni catastrofe, dopo ogni scossa, dopo… quando anche la commozione prende a diventare indigesta… insomma dopo, cominciano le vere manifestazioni del genio italico. Una nazione fondata sul lavoro (degli altri, perché noi siamo furbi), sul Totocalcio e sul merchandising. Potrebbe non sembrare, ma anche questa è una questione editoriale.
In Sicilia si usa mettere un titolo nuovo a cose vecchie. Non vorrei essere frainteso: non si tratta di gattopardismo, ma di marketing. Il terremoto più significativo che ricordi in Sicilia non è quello del 1908 (mi perdonino i primatisti messinesi), ma quello tutto simbolico della stagione delle stragi all’inizio degli anni Novanta. Falcone e Borsellino, non i primi, non gli ultimi, ma di sicuro la scossa più forte. Una scossa che fa ribollire per mesi interi condomini che riversano per le strade migliaia di individui che si scoprono capaci di diventare testimoni della loro stessa esistenza, delle loro idee. Belle lenzuola stese per dimostrare come la paura si possa sconfiggere (ma lo smog no). Tutto accade in un tempo che a noi era sembrato lunghissimo e oggi mi sembra essere stato brevissimo: una stagione. La natura rifiorisce in primavera. In Sicilia la primavera è un’illustrazione oleografica per cartoline.

Teatro di rovine (rospe, Poggioreale 1996)


Adesso prendo una pausa. Abruzzo. Terra a me estranea, del tutto estranea, mi domando come mai non abbia avuto nessun contatto con l’Abruzzo fino ad oggi. L’Aquila, la città con un nome che sembra voler sfuggire alle regole dell’atlante di scuola, quasi anche alla comune ortografia: la città di L’Aquila… inutile non suona proprio. Un’eccezione. Tuttavia non sono mai riuscito a provare sufficiente curiosità per avviare un’indagine filologica… che probabilmente svelerebbe soltanto un altro anfratto della mia smisurata ignoranza. Una cosa mi colpisce di questa terra sconosciuta: la determinazione di tutti gli interpellati direttamente dal terremoto a sopravvivere. Non coraggio, ostinazione e orgoglio. Vorrei essere con loro, vorrei essere come loro e non come tanti dei miei privilegiati concittadini, sopravvissuti sì al terremoto del 2002 e alle stragi di mafia, ma soprattutto “indegnamente” sopravvissuti. Esponenti di quella pratica odiosa della retorica che ha visto diventare quotidiano il commercio di reliquie e l’adozione di vedove e orfani di guerra. Soffoco.


Questa è una scuola (rospe, Poggioreale 1996)


Ma mi ero riproposto di non ritornare sull’argomento… nessuno si salva dalla retorica. I miei sono solo pensieri scoordinati, che si presentano in forma di frantumi e che il più delle volte dovrebbero rimanere tali. Forse per la somma di questi motivi eviterò a mia volta di indulgere ulteriormente in un esercizio retorico (e ogni sorta di disinvoltura a questo connessa), quindi lascerò in pace quelle che sono prima di tutto vittime della lotta alla mafia e tratterrò il mio disprezzo per i professionisti del marketing dell’antimafia (anche quando hanno procedimenti pendenti o condanne già in giudicato). Chi vuole ricordare è invitato a uno sforzo di discernimento.

Un’ultima cosa: usanza rivoltante di Palermo è quella di ribattezzare un po’ tutto con i nomi di Borsellino e Falcone. Se non fosse Palermo la cosa potrebbe apparire soltanto ingenua. Ma alla pratica di applicare targhe celebrative… al solo scopo di apparire nelle consuete foto di rito, non riesco proprio ad abituarmi. Ogni volta che mi trovo davanti a qualcosa del genere mi viene da pensare… qualcosa, ma capita sempre meno spesso. Un giorno – magari il 19 di luglio – non saprò più neanche a che cosa dovrei pensare.

Selfportrait in movimento (rospe, Gibellina vecchia, Cretto di Burri 1996 ca)


Mi auguro che il terremoto dell’Abruzzo ci lasci pochi strascichi del genere, qualche celebrazione in meno del solito e soprattutto il desiderio di riflettere sui nostri vizi. Spero che della ricostruzione si occupino direttamente quegli uomini caparbi e dai modi misurati, che piangeranno i loro cari a lungo, ma non rimarranno intrappolati e stritolati nella macchina dello showbiz delle emozioni da seconda serata tv, della morbosa curiosità e della ipocrita compassione. Tutti sentimenti cari all’italico genio… (ovviamente mafia, appaltatori, politici, corruttori e corrotti permettendo). Lo spero. Soffoco. Vado a cambiare aria.