Uno dei più celebri film di Emidio Greco è L’invenzione di Morel (1974), pellicola culto girata con pochi mezzi in una irriconoscibile Malta. È stato per molti anni una delle mie ossessioni preferite. Visto da bambino (non so dove non so quando), ho cercato con tutte le forze di trattenerne qualcosa, senza tra l’altro essere sicuro di averne colto il senso e compreso le vicende, disperando di poterlo rintracciare in seguito (nulla sapevo del film, titolo, regista, attori). Di quella prima esperienza ricordavo il silenzio, i paesaggi muti, i rumori d’ambiente che coprivano le voci dei personaggi, i loro dialoghi inaccessibili. Poi mi sono imbattuto in un libro: Aldolfo Bioy Casares (La invención de Morel, 1940). Nella lettura del romanzo ho ritrovato il mio tesoro d’infanzia (e da lì gli strumenti necessari per rintracciare il film).

È la storia di un amore imperfetto, ovvero, l’amore per il cinema. La prodigiosa invenzione dello scienziato Morel è una macchina che non solo “riproduce” la vita, ma che se ne nutre e, infine, a questa si sostituisce. Dove l’immagine vivrà per sempre, ripetendosi uguale a se stessa, la vita cessa. Il cinema gioca su un piano simile le sue carte migliori: non vive nella pellicola (o su supporti digitali), vive nell’attimo in cui il suo divenire ci investe. In parte siamo coscienti di essere ancora spettatori (così è per il protagonista del racconto), in parte quella realtà diventa la nostra e nient’altro potremo desiderare se non di farne parte (così è per il protagonista del racconto).

La componente portentosa della macchina di Morel è sospesa tra fantascienza e metafisica: opera per sottrazione (di vita / di anima), sostanzialmente produce un pareggio. La componente portentosa del cinema è che opera per accumuli, slittamenti e sovrapposizioni (di vite non nostre che diventano parte integrante del nostro groviglio di esperienze), sostanzialmente produce uno stato di felice conflitto, di indeterminatezza: siamo dentro e fuori la storia, siamo cambiati e uguali al suo termine.

E il cinema, a differenza dell’invenzione di Morel, ha effetti che mutano costantemente, i suoi fantasmi ci accompagnano come ricordi imperfetti e noi invecchiamo con loro. Alla fine si tratta comunque di vita (reale e irreale insieme) e il risultato è lo stesso, solo con tempi differenti.


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postilla: parlando di “fantasmi” e di cinema, mentre tentavo di tenere ancora viva l’emozione della “prima volta”, se n’è aggiunta un’altra: il ricordo più recente di una serata passata con Emidio Greco, a Sciacca dopo la proiezione di quello che è stato il suo ultimo film: Notizie degli scavi (2011). Un grande intellettuale, un grande interprete di fantasmi, capace di rendere partecipi anche gli altri degli esiti più sorprendenti di quella portentosa invenzione che chiamiamo vita.

 



» Il libro lo si può leggere nella traduzione di Livio Bacchi Wilcock, nell’edizione Bompiani (2000), preceduto da un testo di Jorge Luis Borges. Il film adesso è anche in DVD (Ripley’s Home Video, 2013).


» QUI una recente recensione per il film | di Irene Gianeselli | «Oubliette magazine» (03/08/2014)
“L’invenzione di Morel”, film di Emidio Greco: la trasposizione del romanzo fantascientifico di Adolfo Bioy Casares

http://oubliettemagazine.com/2014/07/03/linvenzione-di-morel-film-di-emidio-greco-la-trasposizione-del-romanzo-fantascientifico-di-adolfo-bioy-casares/


» Un brano del film