I libri possono cambiare la vita delle persone. Ci sono quelli come la Bibbia, per cui scorrono fiumi di sangue, vengono bruciati altri libri e che alla fine nessuno, o quasi, legge sul serio. Non mi interessano questo genere di libri, preferisco i miracoli più discreti, quelle piccole grandi insidie nascoste tra le pagine di volumetti insospettabili. L’ho già scritto, credo molto nella frammentarietà della nostra vita, nella casualità con cui le nostre esperienze si vanno accumulando e così facendo ci formano. Credo che ogni volta che si ha un libro tra le mani, possa accadere qualcosa. Lo spero, lo temo. Anche per questo motivo sono molto diffidente nei confronti dei “sacri testi”, ho come l’impressione che tutto il mondo si aspetti qualcosa da me. Devi odiarli, o amarli, non hai scelta. A volte provo indifferenza. A volte sono attratto irresistibilmente da qualcosa che luccica e che magari è finito dietro le grate di un tombino.
Due grandi saggi delle nostre lettere hanno provato ad insegnarci l’arte di smarcarci dai classici, e di amarli. Fruttero&Lucentini, anomali fino al loro modo di separarsi restando insieme (un po’ come Castore e Polluce), anni a dietro, proprio subito dopo la zuccherosissima sovraesposizione di Baricco con il suo Pickwick in tv, ebbero la strampalata idea di fare altrettanto. La trasmissione si intitolava «L’arte di non leggere», loro due erano soli nel loro studio claustrofobico di scrittori/lettori/esploratori. Si contraddicevano l’un l’altro e poi come un meccanismo “perfetto” macinato dall’uso e dal tempo, aprivano piccole brecce. Il libri possono cambiare la vita, ma non sono obbligati a farlo. L’arte di non leggere era stato tolto da un aforisma di Schopenauer: all’incirca, voleva indicare la libertà del lettore di scegliere le proprie letture. Di fronte a miliardi di libri per lo più inutili, anche la scelta di “non leggere” quel particolare libro può risultare una validissima scelta.
Qua mi sa, caro Rospe, che i miracoli cadono in frantumi! Te lo dice uno che colleziona tazze rotte con la maniacale cura di un archeologo dei gesti. Capisco quanto si possa essere affezionati ai libri della propria infanzia e come crescere insieme ai libri sia un modo per vedere la realtà attraverso uno “specchio”. Ma prima o poi questo specchio ti cade addosso o si rivela deformato, si incrina per un gesto inconsulto, o ti rivela come un cinquantenne stempiato e con diversi chili in più. Il bambino con il suo mondo parallelo, delle meraviglie, non c’è più. Perché non aveva motivo di esserci più, o, se mi consenti la metafora, le mutande non gli entrano più. Collezionare libri, e il collezionismo in generale, è forse un po’ questo: il non accettare il profondo trasformarsi della vita, il suo fluire. Il mondo è bello perché è vario, quindi prendi il mio contraddittorio per quello che è: un’altra,l’ennesiama, visione delle cose.