Ti ricordi? Mi sembra di sì.

Ti ricordi di quella sera? (rospe, 2008)

Era da un po’ che non se ne parlava più, ma adesso che mi ci fai pensare… Un tempo, spesso, si finiva intorno a un tavolo, tra amici, a leggere insieme o minacciare di farlo. Sì, “leggere insieme”, nessuno dei miei coetanei avrebbe mai usato l’espressione reading, non era ancora la stagione dei briefing, dei coffee break, del branding, delle summer school e di tutto ciò che suonando vagamente anglofono potesse essere sottratto alle italiane burocraticherie. Noi dicevamo “facciamo sciopero” (ossia, saltiamo una giornata di lezioni e andiamo ad ingozzarci di krapfen dai Cuochini di via… [capisco l’imbarazzo: ma sono ricordi miei]). I nostri fratelli Settantasettini facevano eco ai loro genitori Sessantatreini, e non raramente circolava notizia del perfetto fallimento di un “sit-in” di fronte alla Prefettura (non distante dai famosi Cuochini, che poi avevano per clienti aspiranti terroristi, extraparlamentari di fatto, bambacioni e reazionari). Noi Novantini resistevamo più per incertezza che per calcolo (e dai Cuochini ci andavamo in incognito). Il nostro vocabolario restava sciatto e sobrio. In verità il “mio” vocabolario restava sciatto e basta, e ancora oggi per indicare qualcosa che ha un nome ben impresso nel dizionario, preferisco usare impropriamente più parole, incastrate insieme in modo incongruo. Ad ogni modo, “noi” non avremmo fatto un reading, anche avendo un’idea di cosa potesse essere un reading, la maggioranza avrebbe temuto il ridicolo e i restanti (incluso me) il rischio che la cosa potesse passare senza che se ne fosse avvertito – adeguatamente – il lato grottesco. Ho sempre amato circondarmi di persone adatte per fare cose ridicole: di quando in quando complici, o spettatori.


Ti ricordi di quella sera? (rospe, 2008)


 Ti ricordi? Quella era la primissima stagione delle rivistine liceo-universitarie. Credo che un po’ tutti ci siano passati, ma a dire il vero non ho elementi per rendere universale quella che in fondo è una mia esperienza personale. Dovevano essere i primi anni Novanta, almeno lo erano per me. Molta confusione, molte voci diverse, alcuni documenti programmatici, qualche birra e un ordine del giorno redatto dal sottoscritto o da GL. La stagione delle riunioni fiume, in cui veniva riconfermata costantemente la gerarchia delle redazioni parademocratiche («Tze-Tze», «Mondopecora», «Mystikós») giunse – senza troppi traumi – a sciogliersi senza soluzione di continuità nell’epoca più felice dell’autarchia iniziatica dei simposi di Casa S. Ai racconti, divenuti via via meno dimostrativi e più “intimamente necessari”, si aggiunsero le pagine sparse, recuperate da libri aperti casualmente e sottratti all’ordine sonnolento della biblioteca che ci ospitava. Il primo nucleo di :duepunti è nato durante quelle sessioni improvvisate, le nostre letture automatiche. Seduti in circolo abbiamo iniziato a stilare liste: libri da leggere, cose da non fare, parole da non ripetere, ingredienti per l’imminente cena. Sì, tutto a quei tempi finiva con una cena. Carni e vini rossi. Compagnia allegra, situazione delle quote rosa perennemente deficitaria. Musica in sottofondo: Frank Zappa, un gruppo di Hare Krishna romani anni Sessanta (Tofani, o Tofoli e qualcos’altro), Pink Floyd (meglio se solo Syd Barret) e in filodiffusione musica dodecafonica. Era il momento giusto per la sperimentazione più libera… e la parola “colesterolo” non era presente nel mio vocabolario.


 Ti ricordi di quella sera? (rospe, 2008)


Ti ricorderai senz’altro… Ma certo che se ti sforzi ti torna in mente. Forse il momento più alto delle letture di :duepunti è stato raggiunto durante le lunghe serate dedicate a Jarry, mischiando il grand guignol di padre Ubu con il sedere scorticato di Bosse-de-Nage. Forse è stato quando ci siamo ritrovati tra le mani i quaderni della Kristof, e a turno abbiamo letto degli esercizi dei due gemelli che volevano perdere ogni traccia di umanità e così diventavano insopportabilmente troppo umani. Ma magari il testo in sé non c’entra tanto, ed è la dimensione, lo spazio della lettura a giocare un ruolo decisivo. Magari non c’entra neanche questo, ed è un fatto di pura e semplice fortuna, della fortunosa combinazione di stati d’animo, della digestione e accidenti vari, che collaborano a renderti più o meno empatico, più o meno simpatico, più o meno tollerante per il tipo che sputacchia sulla “tsze” o declama già dal titolo. Io comunque… ritengo che la vetta sia stata raggiunta con il manuale di educazione sentimentale per la donna di mondo, opera cristallina di madame J. (Cfr. Il solletico cinese). Pur non essendoci una giuria da influenzare voglio smentire le voci che circolano intorno alla magistrale interpretazione dei brani de Il mio amico pastore tedesco: dall’alimentazione alla sverminatura, ormai un classico delle proposte di GS. Ma a che servono valutazioni del genere? Chissà, si potrebbe obbiettare che in una data occasione si sia seguito un criterio più scientifico, o che la serata sia stata più memorabile grazie all’ammazzacaffè di Giuseppe Orlando, se ne potrebbe discutere: ma, in fondo, cosa resta di una lettura?


Ti ricordi di quella sera? (rospe, 2008)


 Ma ti ricordi? Sì, si ricordano soprattutto le persone. Ecco, resta l’idea di avere trascorso del tempo privato con altri, che hanno reso vagamente peggiore la qualità della tua lettura, ma allo stesso tempo straordinariamente diversa quella dell’ascolto. Sembra un po’ di stare a teatro e un po’ in chiesa, ma in cosa stia esattamente la differenza non ricordo più. No, proprio questo non lo ricordo. Eppure credo che la mia prima lettura pubblica l’abbia tenuta in chiesa. Troppo timido per alzare lo sguardo, troppo consapevole delle mie scarse capacità fonatorie, troppo colpevole già quando ero ancora innocente. Poi, per caso, ho letto altre volte in pubblico: una volta sotto una magnolia (in quell’occasione ho lasciato il mio numero di telefono ad una ragazza che mi ha chiamato dieci anni dopo), poi in una libreria in mezzo a tanta altra gente che sgomitava ripetendosi “esordiente. anche lei esordiente? anch’io, ovviamente esordiente”. In quest’ultima occasione non ho lasciato niente a nessuno e a distanza di dieci anni non me ne sono ancora pentito. Ma leggere insieme è rimasta una pratica esaltante, scambiare letture, intrecciare le voci e guardare le tue parole che prendono forma nello sguardo di chi ti sta accanto, magari annoiato, in attesa che venga il proprio turno per ripagarti con la stessa moneta. In casa editrice si continua a leggere insieme, ma con minore divertimento, con più attenzione, con meno reverenza, con più praticità. Non si legge più soltanto pensando a cosa possa piacere a noi, siamo costretti a pensare anche a quelle altre persone quelle che leggeranno in nostra assenza, magari a voce bassa, da soli… oppure come è capitato per Ourednik (Europeana. Breve storia del XX secolo, :duepunti edizioni, 2005) in riunioni di fortuna, in circoli di amici di amici di Paolo Nori e Ugo Cornia.


 Ti ricordi di quella sera? (rospe, 2008)


«Ti ricordi quella sera a casa di Peppe che ognuno leggeva un suo racconto ed era primavera e c’erano le patatine, edizione 2008?» (questo è proprio il titolo dell’incontro) Il 30 aprile Casa S. si è popolata di persone convenute su iniziativa di Claudio Morici e GS. per leggere insieme. Nell’invito c’era proprio scritto che si trattava di un reading. E poi c’era una cosa geniale quanto semplice, la lista di regole. Forse non le dovrei rendere pubbliche…

1. Scegli un racconto che hai scritto (o una poesia, o quello che ti pare),
la cui lettura va dai 3 minuti ai 10 minuti massimo.
2. Portalo in via XXX (citofonare Peppe).
3. Puoi venire solo se hai con te un racconto da leggere.
4. Puoi invitare massimo un’altra persona
(simpatico/a e con un racconto da leggere).
5. Il reading domestico inizia alle 21:15 in punto.
6. Devi venire munito di una birra o un succo di frutta
o un pacchetto di patatine, vedi tu (niente di importante).
7. Si fuma solo in balcone.

Forse non ne avrei dovuto parlarne a nessuno e neanche scriverne. Mi raccomando per il futuro: la regola numero Zero di Ti ricordi quella sera a casa ecc. è “non ne devi parlare con nessuno”. Se ti chiedono di che si tratta, vuol dire che qualcuno è contravvenuto alla regola più importante. Ad ogni modo questa cosa mi ricorda Fight Club. Ma anche solo adombrare il sospetto è già una colpa che dovrò scontare in qualche modo, prima o poi.


 Ti ricordi di quella sera? (rospe, 2008)